La madre di tutte le riforme

Con il voto del Senato, per quanto sofferto, si è conclusa la prima tappa di quel percorso riformatore fortemente voluto da Renzi. Un percorso che sarà ancora lungo e accidentato, per la necessità del voto della Camera dei Deputati e poi di un secondo voto delle due Camere, per cui non sarà domani che vedremo la trasformazione del Senato in Camera non elettiva, con soli 100 membri e poteri selettivamente ridotti (ma tutt’altro che indifferenti). Né vedremo la piena vigenza di altri aspetti molto significativi della legge approvata. Una seconda lettura potrebbe anzi portare a qualche miglioramento (per esempio, una riduzione nel numero dei deputati, a cui non capisco perché si opponga il Governo, una limatura dei poteri del Senato, a mio avviso non tutti in armonia con la sua nuova composizione e ruolo di rappresentanza delle autonomie locali, o il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio). Ma l’importante è che l’ottimismo della volontà stia avendo la meglio sul pessimismo della ragione e l’interesse generale sulle resistenze di settore. Sarebbe ingiusto non riconoscerne la tenacia del Premier e a Berlusconi avergli offerto, a partire dal Patto del Nazareno, l’indispensabile sponda.

Quelli che, pur non contestando  le riforme, si ostinano a criticare il Premier per averle concordate “con un pregiudicato” fanno prova di una penosa ristrettezza di vedute e anche di scarso spirito democratico, ignorando che, quali che siano le colpe di Berlusconi, la forza politica che egli rappresenta e dirige ha piena legittimità. La scelta di Renzi di coinvolgerla nelle riforme non è dunque solo una prova di realismo, ma è un dovere democratico. Altrettanto legittima sarebbe stata la partecipazione grillina, ma il comico genovese si è deliberatamente escluso dal processo riformatore chiudendosi in un atteggiamento di rabbioso, vociante ostruzionismo. Da questa vicenda non esce bene, avendo dimostrato ancora una volta la sua irrilevanza. Ma questo non stupisce da parte di un tipo che ha la demenza di scrivere nel suo blog che Pinochet era meglio di Napolitano, Renzi e Berlusconi. Male ne esce anche Vendola, patetico rappresententa di quella sinistra radicale capace solo di dire di no e causa della difficoltà della sinistra di governare stabilmente. La fronda per la fronda va bene, ma poi? Rompendo dal PD non si capisce bene come SEL speri di svolgere un qualsiasi ruolo futuro.

Incassato questo primo risultato, il Premier dovrà ora pensare, sì, alla legge elettorale (alcuni possibili miglioramenti paiono ora profilarsi, specie sul terreno delle preferenze), ma dovrà soprattutto dedicarsi anima e corpo alla madre di tutte le riforme – e che l’Europa ci chiede prima di quelle istituzionali – quella che deve far uscire il Paese dalla lunga stagnazione economica e riportarlo nel gruppo dei Paesi leader nel mondo. La strada è difficile ma non impossibile. Mario Draghi ha indicato alcune ricette che vanno senz’altro condivise: riduzione della burocrazia, giustizia più rapida ed efficace, snellimento delle norme sul lavoro, abbassamento del peso fiscale. Le prime tre richiedono chiarezza di idee e volontà politica, non quattrini. La terza richiede invece uno sforzo serio, continuato e sicuramente non indolore, che deve avere come obiettivo una riduzione della spesa pubblica che vada bene al di là dei risparmi pur sacrosanti (anche se poi non così consistenti) che si realizzeranno per la riduzione del numero dei senatori e per il tetto agli stipendi regionali. Occorre incidere sugli sprechi e su grosse fonti di spesa senza ridurre il livello e l’efficienza dei servizi prestati. Tutti quelli che ci hanno provato in passato hanno sbattuto il naso contro un muro. È ora di dimostrare che non c’è una fatalità perversa che lo impedisce, tutto è questione di volontà e di intelligenza.

Se questo avverrà, sarà possibile al Governo non solo ridurre complessivamente l’onere fiscale, ma disporre di risorse per un programma di investimenti nelle infrastrutture, la ricerca, l’educazione,  che contribuiscano – accanto all’azione promessa sia da Juncker che da Draghi – a ridare slancio all’economia senza sforare i limiti europei. Se vogliono affermarsi in modo stabile nell’apprezzamento pubblico e superare i dubbi serpeggianti in un’opinione pubblica che continua a diffidare (come darle torto?), Governo e maggioranza devono ora agire, rapidamente e concretamente, su queste linee.

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