Cronache dai Palazzi

Le riforme costituzionali sono necessarie ma non sufficienti. È questo l’ammonimento del presidente della Bce rivolto direttamente al premier Renzi nel colloquio faccia a faccia a Città della Pieve nella casa umbra di Mario Draghi, che ha chiesto al presidente del Consiglio un “segnale forte” fin da settembre.

Nell’agenda di agosto del governo figurano in primo piano i temi economici, soprattutto dopo la notizia del nuovo record del debito pubblico che ha raggiunto quota 2.168,4 miliardi.

Renzi smentisce che l’Italia sia un ‘osservato speciale’: “Vi assicuro che non è così”, afferma con energia di fronte al cantiere dell’Expo, che secondo il premier verrà inaugurata di certo il prossimo primo maggio dal presidente della Repubblica. “Sono pronto a scommettere che l’Expo sarà una delle chiavi della ripartenza”, ha affermato Renzi sostenuto dal suo consueto ottimismo.

Sul richiamo dell’Ue il presidente del Consiglio ha ammesso che i fondi europei sono stati spesi male per anni, ma nel contempo ha aggiunto che “utilizzarli meglio è un obiettivo di questo governo. Da Palazzo Chigi si è cominciato a togliere fondi alle Regioni che non spendono fondi europei e metterli sulle scuole e sui progetti legati all’edilizia scolastica”.

“Non c’è un caso Italia, l’intera eurozona è in crisi”, sottolinea Renzi durante il suo breve tour nel Sud del Paese alla vigilia di Ferragosto (Napoli, Reggio Calabria, Gela e Termini Imerese). La classe dirigente – non solo i politici – “non deve avere paura di cambiare”, ammonisce Renzi che rimarca, ancora una volta, il primo passo verso la riforma costituzionale. “Sono contento di vedere come il capo dello Stato abbia potuto constatare come il Senato l’abbia approvata in tempi davvero significativi”, sottolinea Renzi.

“La ricetta per l’Ue è la crescita”, ha inoltre ribadito Renzi, puntualizzando però che “la crescita non si fa abbassando i salari per essere più competitivi”. Renzi ha rimarcato il dato del Pil tedesco (-0,2%), “l’intera eurozona vive una fase di stagnazione”, ma ha anche affermato che “non vale il principio mal comune mezzo gaudio”.

In questa prospettiva che guarda alla crescita, il rilancio del Mezzogiorno d’Italia diventa un tema strategico, partendo dal lavoro, che non vuol dire però meno garanzie. Riferendosi all’eterno dibattito sull’articolo 18 – di nuovo innescato dalla proposta di abolizione (per i nuovi assunti) dell’alleato di governo Angelino Alfano – Renzi ribadisce: “Sono sempre pronto a scrivere nuove regole sul lavoro, però si fa pensando a cambiare le garanzie non ad eliminarle”.

Ottimismo a parte i problemi economici restano e sull’articolo 18 è battaglia, anche se Alfano sottolinea che Renzi è il primo leader della sinistra disposto a riscrivere le regole del gioco. “Inutili le discussioni ideologiche, nella delega riscriveremo tutti insieme le fondamenta dello Statuto dei lavoratori”, ribatte Matteo Renzi prospettando una riforma del lavoro che superi i confini ristretti della questione dell’articolo 18. La Commissione Lavoro si riunirà il 2 settembre, “presieduta dal nostro Maurizio Sacconi” afferma Alfano che sottolinea: “Siamo sulla strada giusta”.

Il 28 agosto si svolgerà inoltre la direzione nazionale Ncd nella quale verranno ratificate le proposte economiche da mettere sul tavolo del governo prima del Consiglio dei ministri (29 agosto) che varerà il decreto “Sblocca Italia”, nel quale Ncd mira ad inserire la revisione dell’art.18. Il presidente del Consiglio tende invece a lasciare la questione all’interno del disegno di legge delega “Jobs act”, in discussione a Palazzo Madama.

Il partito di Alfano considera essenziale la battaglia sull’articolo 18. “Se poi non se ne fa nulla – avverte l’ex ministro del Welfare Maurizio Sacconi – il Governo non cade ma perde credibilità e pone le premesse per il suo esaurimento”. Il presidente della Commissione Lavoro considera non praticabili eventuali soluzioni transitorie, di cui si è già ampiamente discusso. “Niente soluzioni triennali peraltro superate dalla disponibilità dei contratti a termine e di apprendistato. Il problema non si pone in relazione alla prima fase lavorativa – puntualizza Sacconi – ma per l’intero arco di vita nel quale può sempre prodursi la rottura del necessario rapporto di fiducia”.

“Alfano sa che l’articolo 18 non verrà cambiato”, afferma invece l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, esponente di punta della sinistra dem, dichiaratamente contraria ad ogni indebolimento della normativa a tutela dei licenziamenti.

L’iniziativa del Nuovo centrodestra, sostenuta da Forza Italia, sta comunque scuotendo la maggioranza ed è destinata a non essere la classica sceneggiata finalizzata a piantare le solite bandierine. In allarme anche i sindacati: il leader Cisl Raffaele Bonanni, dopo una chiusura iniziale, ha aperto a modifiche dello Statuto purché “non vengano scavalcate le organizzazioni dei lavoratori”. Susanna Camusso, invece, in una lettera sul Corriere sottolinea la necessità di guardare “alle nuove forme di lavoro, ai milioni di lavoratori precari, in modo da dare loro le difese di cui oggi non dispongono: giusto salario, maternità, ferie, malattia, protezione contro i licenziamenti ingiusti, ammortizzatori universali, solo per citarne alcune”. Partendo dalla revisione dell’articolo 18, e presupponendo l’applicazione degli articoli 39 e 46 della Costituzione, per la leader Cgil la riforma del lavoro potrebbe rappresentare la giusta “occasione per dare modernità alle tutele del lavoro”, realizzando “un vero Jobs Act”. La discussione è comunque rimandata a settembre quando si inizierà ad esaminare il famigerato Jobs Act.

Alfano dichiara infine che oltre alla cancellazione dell’articolo 18 il suo partito si batte “per il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione: 15 miliardi da immettere nell’economia. Per la semplificazione fiscale, soprattutto a beneficio dei piccoli imprenditori: pagamento in base agli incassi e non alla fatturazione. Per la contrattazione aziendale anziché quella collettiva: abiti su misura delle imprese e non tutti uguali e non tutti uguali dalle Alpi alle Pelagie”.

L’incontro (circa tre ore di colloquio) con il presidente della Repubblica nella residenza estiva di Castelporziano è servito invece al premier Renzi per fare un ulteriore punto su riforme, situazione economica e questioni internazionali. In particolare il presidente Napolitano avrebbe suggerito riforme non divisive sulla giustizia e, alla luce del nuovo record raggiunto dal debito pubblico, avrebbe ribadito l’importanza del rispetto del parametro del 3 per cento nel rapporto deficit-Pil. Capo dello Stato e premier hanno concordato sul fatto che si debba procedere con uno sprint autunnale per non favorire i timori di coloro che non guardano di buon occhio i conti italiani. In effetti i campanelli d’allarme suonati in questo mese d’agosto hanno fatto non poco rumore, dai dati Istat agli avvertimenti di Moody’s, per approdare infine agli ennesimi moniti dell’Eurotower e delle istituzioni europee nel loro complesso.

A settembre dovrà essere impostata anche la legge di Stabilità da presentare a Bruxelles a fine ottobre e il governo dovrà necessariamente insistere sul taglio della spesa pubblica, un passo indispensabile per ridurre la pressione fiscale su famiglie e imprese e rilanciare la crescita. Solo attraverso l’attuazione delle “riforme condivise” auspicate dal numero uno della Bce, Mario Draghi, potrà cominciare la trattativa tra il governo italiano e la Commissione europea per ottenere un più ampio margine di flessibilità sul percorso di risanamento del bilancio.

Renzi smentisce comunque qualsiasi forma di attrito con le istituzioni europee e ribadisce che “concorda dalla A alla Z” sull’invito del presidente della Banca centrale europea a non indugiare oltre nelle riforme strutturali. “Spingo come un forsennato sull’agenda e ho ingolfato il Parlamento di provvedimenti”, ha puntualizzato Renzi, dallo Sblocca Italia, alla Pubblica amministrazione, alla riforma del lavoro. Senza dimenticare la condizione dei conti pubblici, e quindi la necessità di rispettare i parametri europei e l’obbligo di intervenire sul taglio della spesa pubblica, sulla quale Renzi ha preso impegni precisi: un taglio della spesa da 17 miliardi nel 2015 e da 32 miliardi nel 2016, anche se non è ancora chiaro come farà.

Il premier Renzi è comunque sicuro di farcela e di fronte ai cantieri dell’Expo ha ribadito: “C’è fame di Italia. Noi non lasceremo il futuro ai gufi e a chi scommette sul fallimento del Paese”. In sostanza è ‘allarme gufi’.

©Futuro Europa®

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