Questione Marò, cerchiamo di fare chiarezza
La sorte di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due Marò bloccati in India, continua a preoccupare ed è giusto che il Governo faccia quello che può per riportarli a casa. La telefonata di Renzi al nuovo Primo Ministro indiano nell’intento di trovare una soluzione va dunque nella direzione corretta.
Nel valutare la situazione non servono fervori patriottici, dichiarazioni tonitruanti o processi di responsabilità. Occorrono solo diplomazia, perserveranza e buon senso, tenendo sempre presente il punto di partenza: i nostri due militari, nell’esercizio della loro funzione di protezione antipirateria di una nave italiana in alto mare, hanno purtroppo ucciso due pescatori innocenti, imbarcati su un barcone da pesca. Atto terroristico? Nessuno più in India sostiene seriamente questa fattispecie, che la Corte Suprema ha già di fatto scartata (facendo sparire il timore, causa di tante angosce, di una possibile pena di morte). Ma tragico errore, sì. Errore scusabile? Questo lo deve accertare la Giustizia, come avverrebbe in Italia se a sparare, per esempio, fossero stati due carabinieri. Ma quale Giustizia? Qui le cose si complicano. Il fatto è avvenuto in alto mare, su una nave italiana e quindi la competenza spettereebbe alla nostra Giustizia militare. Ma le vittime sono indiane. Non conosco la legislazione indiana in proposito ma so che nel nostro ordinamento giuridico c’è una norma che consente di giudicare in Italia delitti compiuti all’estero contro cittadini italiani (sulla base di questa norma abbiamo giudicato e condannato a Roma Suarez Mason e altri militari argentini colpevoli di delitti contro cittadini italiani in Argentina al tempo della dittatura).
Al di là di questo dibattito giuridico, ci sono ragioni politiche che pesano sul punto di vista indiano: l’opinione pubblica di quel Paese fu comprensibilmente infiammata dalla tragedia (come lo sarebbe la nostra se a morire fossero stati pescatori siciliani, ad opera per esempio di una motovedetta tunisina) e nelle settimane e mesi successivi alla tragedia si espresse con emotiva violenza. Difficile per le Autorità indiane, nella prossimità a quel tempo di elezioni generali, ignorarla. Ma l’India è una democrazia, con tradizioni giudiziarie di stampo inglese. I provvedimenti via via presi dalle Corti indiane, dall’assegnazione dei due militari agli arresti nell’Ambasciata italiana, più volte rinnovata, al permesso di venire in Italia per il Natale del 2012 e all’esclusione della polizia antiterrorista dall’indagine, dimostrano quantomeno che non siamo di fronte a una Giustizia bananiera. Contestare quella giurisdizione ma intanto assicurare ai due Marò la miglior difesa legale davanti ad essa era dunque corretto.
Esistevano altre alternative? Dal momento in cui gli armatori ordinarono alla nave di dirigersi a un porto indiano v’era ben poco o nulla da fare. È sciocco e ingiusto accusare di debolezza la nostra diplomazia. Una diplomazia per essere efficace deve disporre di mezzi di convinzione o di pressione. A suo tempo, qualcuno delirò di azioni di forza. Cosa si voleva? Mandare le cannoniere a bombardare Bombay? O dichiarare la guerra commerciale all’India? Fare un quarantotto (inutile) all’ONU? Rompere le relazioni diplomatiche? Qualsiasi governo si sarebbe fatto applaudire sul momento per aver “mostrato i denti”, con il risultato di aggravare la situazione e privare i due Marò di ogni protezione sul posto e persino di un’Ambasciata in cui vivere. Qualche bellicoso insipiente propose di mettere fine alla nostra partecipazione alle missioni di protezione dalla pirateria e persino alle missioni di peacekeeping. Per fare dispetto a chi? All’India certo no. La nostra diplomazia ha seguito, con i successivi governi, la sola via sensata: ottenere l’appoggio della NATO e dell’Europa, contrastare la tendenza dell’ONU a lavarsi le mani della questione, sostenere i due Marò in giudizio e non rompere mai il filo del dialogo con New Delhi. Sospetto che esattamente lo stesso avrebbe fatto un governo Berlusconi, se gli fosse toccato di gestire la vicenda.
Ma i fogli della famiglia Berlusconi (e non solo loro) si sono dilettati a gettare tutte le colpe sul detestato Monti e soprattutto per aver rimandato in India i due militari venuti per Natale in Italia. Questa era anche l’opinione del mio amico Giulio Terzi, che per questo dette le dimissioni da Ministro degli Esteri del Governo Monti. Ma i due Marò erano potuti venire in Italia con l’espresso impegno del Governo italiano che sarebbero rientrati in India. Mancare a questo impegno sarebbe stato degno di una repubblica delle banane e ci avrebbe fatto fare una pessima figura non solo in India. Ma se si fosse creduto opportuno farlo con qualche parvenza di scusa, la Giustizia militare italiana avrebbe dovuto utilizzare la presenza dei due Marò in Italia per metterli agli arresti e sottoporli rapidamente a giudizio. Perché non sia stato fatto non lo so. Debbo pensare che abbia prevalso l’impegno a mantenere la parola data. E magari qualcuno avrà pesato la difficoltà di dover giudicare e probabilmente condannare i due Marò in Italia, contro gli accesi sentimenti prevalenti nella nostra opinione pubblica.
Come andrà a finire? La lentezza con cui la Giustizia indiana sta trattando il caso prolunga l’incertezza in cui si trovano i due militari e la loro lontananza dalle famiglie, ma prova la delicatezza della faccenda per una Corte che deve valutare ragioni giuridiche e considerazioni politiche egualmente difficili da ignorare.
Per l’Italia la via da battere è complessa. Dobbiamo da un lato mantenere la riserva di giurisdizione e dall’altra garantire un’adeguata difesa legale ai due militari davanti alla Giustizia indiana. E dobbiamo allo stesso tempo cercare un accordo con quelle Autorità. È difficile che la Giustizia indiana ceda la competenza a quella italiana, almeno se non ha la certezza di una condanna esemplare, ma potrebbe forse essere esplorata la via di una giurisdizione internazionale. Se poi l’India dovesse mantenere la propria competenza di diritto, resta da battersi perché il giudizio di merito sia imparziale e una eventuale condanna limitata e condizionale, in modo da permettere ai due Marò di tornare presto in Italia, visto anche il periodo scontato agli arresti domiciliari in Ambasciata.
Un’ultima nota: spero proprio che alle famiglie dei pescatori uccisi sia stato o sia ora riconosciuto un’adeguato indennizzo a carico degli armatori della nave. È questo un dovere umanitario elementare ma anche un modo per evitare nel processo la presenza di una parte civile caricata di emozioni e di buone ragioni personali.
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5 Comments
egr. Sig. Jannuzzi da dove deduce le prove della colpevolezza dei nostri fucilieri ? sono 910 giorni che la magistratura indiana non riesce a dare una prova certa dell’ accaduto e arriva lei con tutte queste certezze a proposito “dell’ uccisione di due pescatori”, per quanto riguarda la telefonata tra Renzi e Modi si è trattato di fumo negli occhi dell’ opinione pubblica,hanno parlato della svendita delle nostre acciaierie, specialità in cui il Matteo si sta specializzando, le accuse alla nostra diplomazia ci stanno tutte in special modo all’ evanescente Mogherini che aveva parlato di arbitrato internazionale mentre si è scoperto grazie ad un audizione alla comm. mista che non esiste alcuna richiesta formale in tal senso, anzi stiamo a zero, cercare di disinformare la gente non è corretto. faccia una ricerca su Pushp Sharma un giornalista Indiano e ne scoprirà delle belle sui giudici indiani…
Gentile Signor Bellantonio, che due pescatori indiani siano stati uccisi, mi spiace dirlo, nessuno lo ha seriamente contestato. Quello che é da verificare é la dinamica dell’evento, in altre parole se l’errore sia scusabile, come spero di tutto cuore e quindi la colpevolezza dei due marò
é, dal punto di vista legale, ancora da stabilire. Ho scritto e penso che dovrebbe accertarlo la Giustizia italiana, perché il fatto è avvenuto su una nave e quindi su territorio italiano e penso che da parte nostra si debba mantenere fermo questo punto o, in alternativa, chiedere un arbitrato internazionale.Ma se l’India non lo accetta non vedo quali mezzi di coercizione avremmo per obbligarvela. Il fatto é che c’è un processo in cosso e noi, quali che siano le nostre posizioni di principio, abbiamo il dovere di assicurare ai due militari una difesa adeguata in quel processo. Quanto al contenuto della telefonata tra i due Primi Ministri, Lei deve avere informazioni riservate che io non ho. Non so se Renzi voglia svendere le nostre acciaierie, e aspetto di sapere cos’altro stia svendendo, se non magari per far fronte all’immenso debito accumulato da governi di tutti i segni, compreso quello che forse piace a Lei.Infine, sapevo ovviamente della somma pagata alle famiglie dalla Difesa, e lo considero un gesto molto opportuno, non solo di umanità ma di semplice civiltà, che ha contribuito un pochino a svelenire la questione. Ma io mi riferivo a una vera e propria indennizzazione a carico degli armatori o della loro Compagnia di Assicurazione. E mi creda, chi disinforma la gente non é proprio il giornale in cui scrivo. Le consiglio la lettura del Giornale e di Libero.
Non so in base a quali elementi l’Amb. Jannuzzi possa affermare che “…i nostri due militari…. hanno purtroppo ucciso due pescatori innocenti…”, visto che non è stato ancora celebrato alcun processo e che le autorità indiane non si sono degnate di rispondere per tre volte alle richieste della magistratura italiana.
Gli ricordo anche che la decisione di consegnare i nostri due fanti di Marina alle autorità del Kerala prima e di rispedirli in India poi è in palese contrasto con il pronunciamento della Corte Costituzionale, che non lo consente quando l’ipotesi di reato preveda per la giurisdizione locale, anche in astratto, la pena di morte.
Ricordo ancora all’Ambasciatore, che evidentemente se ne è dimenticato, che, a mio avviso improvvidamente, il Ministro della Difesa pro tempore ha già fatto erogare un indennizzo alle famiglie dei pescatori, non come ammissione di colpevolezza ma come “gesto di solidarietà”.
Avrei altro da osservare, ma lo spazio non è infinito: mi basta dire che trovo fuori luogo il tono e molte argomentazioni dell’articolo.
Gentile signor Camporini, Lei é naturalmente padronissimo di criticare tono e argomentazioni dell’articolo. Quanto al “tono”, che si sforza di essere lucido,sapesse quanto sarebbe semplice seguire sempre la corrente del politicamente corretto e non dire quello che ci pare giusto perché puó spiacere a qualcuno! Ma ho servito troppo a lungo e onestamente il mio Paese per non sapere che il modo migliore per farlo é sforzarsi di non vedere solo quello che ci fa comodo, pur difendendo a spada tratta i suoi interesse (se le capitasse di leggere il mio libro “Servizio di Stato” forse saprebbe quante volte l’ho fatto con un certo successo). In questo caso, l’interesse consiste in riportare a casa i due maró, non nel procurare soddisfazioni vane al nostro orgoglio nazionale, e per questo non servono sciovinismo e minacce a parole, ma lucidità, diplomazia e pazienza. Veniamo alle mie “argomentazioni”. Che il nostro ordinamento preveda di perseguire in Italia delitti compiuti ALL’ESTERO contro CITTADINI ITALIANI (cosí come l’India presume di poter giudicare un fatto avvenuto in alto mare contro CITTADINI INDIANI), Lei non lo menziona, ma é un fatto. Che due pescatori indiani siano stati uccisi dal fuoco proveniente, verosimilmente, da una nave italiana a cui bordo erano imbarcati militari armati mi spiace ma non é una deduzione mia, é di dominio pubblico e nessuno lo ha mai seriamente negato. Ma mi pareva di aver reso chiaro che solo da un accertamento serio e imparziale potrà eventualmente stabilirsi la colpevolezza legale dei due marò. Penso che farlo spetterebbe alla Giustizia italiana, che peraltro non lo ha fatto quando poteva e forse doveva. Ritengo che dobbiamo mantenere assolutamente fermo questo punto e allo stesso tempo -visto che mancano i mezzi coercitivi per imporlo all’India – è nostro dovere assicurare ai due militari una difesa appropriata NEL processo, sia in punto di diritto che di fatto. Andiamo avanti: a consegnarli alle autorità del Kerala, fu il comandante della nave per ordine degli armatori (non penso avessero altra scelta, posto che la nave era entrata in acque indiane e quindi sotto la giurisdizione di quelle Autorità; l’errore era stato di accettare di abbandonare le acque internazionali). Quanto all’averli rispediti in India, ho già scritto quello che penso e non cambio certo di idea: erano venuti in base a un permesso indiano, rilasciato sulla base di un preciso impegno di tornare; trattenerli sarebbe stato un inganno indegno di un Paese serio. Sarebbe stato legittimo se i due avessero corso realmente il rischio di pena di morte? In questo caso, penso proprio di sì, ma questo rischio era già stato formalmente scartato dalle Autorità indiane. Hanno violato così le nostre Autorità un dettato della Corte Costituzionale? Se si, per favore si accomodi e le denunci. Intanto,Le ricordo che Girone e Latorre stanno in Ambasciata, cioè in territorio e sotto protezione italiana.
Quanto alla somma pagata dalla Difesa, permetta che La rimandi a quello che ho scritto rispondendo a Bellantonio, scusandomi perché la questione l’aveva sollevata Lei e non lui. Infine, vedremo come tutto questo andrà a finire e riserviamoci a quel momento di giudicare errori e responsabilità (possibilissime). Se ci saranno, Le assicuro che sarò il primo a condannarle con tutta la necessaria durezza.
Una domanda sincera: che penseremmo se i ruoli fossero invertiti? Se, cioè, a morire fossero stati due pescatori italiani e a sparare, magari, militari indiani, o tunisini, o turchi? Non crede che staremmo tutti, Lei ed io compresi, reclamando giustizia a gran voce?
Ma davvero facciamo? E tutte le menate sulle scandalose perizie e autopsie per affrettare una conclusione a sfavore dei fucilieri italiani non valgono nulla in quanto a “ragionevole dubbio” circa la veridicità degli eventi? Ma stiamo ancora a dire «fuoco proveniente, verosimilmente, da una nave italiana»? Di verosimile c’è solo che le due persone uccise fossero pescatori, perché, e scusate tanto, nemmeno quello è indiscutibile, altrimenti non staremmo da anni a parlare di una questione che coinvolge una squadra anti-pirateria a bordo di un mercantile privato.