Centrafrica e diamanti

Con l’aiuto del Congo e della Comunità internazionale, le autorità centrafricane si mobilitano per trovare i modo di ritornare a far parte del Processo di Kimberly, l’Organizzazione internazionale di certificazione di diamanti grezzi  conflict free, dalla quale il Paese è stato sospeso dopo la caduta dell’ex Presidente François Bozizé. In preda al caos e alla violenza perpetrati dai gruppi di ribelli che si affrontano nel Paese, il Centrafrica intende riformare il settore minerario per evitare che la manna diamantifera non profitti alle diverse fazioni ribelli.

Prima di precipitare nel caos e nella violenza, il Centrafrica ricavava il 40% del suo PIL dal commercio di diamanti, con una produzione stimata di 400.000 carati. E’ stato incluso nel Processo di Kimberly nel Gennaio 2003 per poi essere sospeso nel maggio del 2013 due mesi dopo la destituzione dell’ex Presidente Bozizé e l’arrivo al potere di Michel Djotodia, ex Presidente della transizione centrafricana. Una sospensione che mirava ad evitare l’infiltrazione di diamanti grezzi “insanguinati” nel circuito ufficiale della commercializzazione. Il Processo di Kimberly è un meccanismo internazionale di certificazione di diamanti grezzi, che vede riuniti Governi e industriali del settore diamantifero il cui obbiettivo è quello di evitare di negoziare, sul mercato mondiale, l’acquisto di diamanti  da movimenti ribelli che intendono così finanziare le loro attività militari. L’accordo è stato firmato nel 2000 a Kimberly, in Sudafrica, dal Canada, gli Stai Uniti e l’Unione Europea vede riuniti 81 Paesi. Malgrado la crisi e l’insicurezza in Centrafrica, le autorità del Paese e la società civile stanno facendo di tutto per annullare la sanzione e tornare attivamente nell’organizzazione internazione. Per riuscirci, stanno tentando di imitare il modello congolese nella gestione del settore minerario. Dopo aver consultato il Ministero delle Miniere e della Geologia, il Centrafrica spera in un dialogo inclusivo con tutte le parti centrafricane interessate alla cessazione delle sanzioni e poter consultare la comunità internazionale e il Porcesso di Kimberly. Nel contesto attuale, nonostante la presa di coscienza della profonda e necessaria riforma del settore minerario, il Centrafrica però sa che la priorità devono essere disarmo e sicurezza.

La questione dei diamanti è sempre stata al centro della governance dei regimi Bokassa, Patassé e Bozizé. Arrivato al potere il 15 Marzo del 2013, François Bozizé si è affrettato ad annullare tutti i permessi di estrazione e di ricerca, compresi quelli della Colomba Mines, l’impresa del suo predecessore Ange-Felix Patassé che ha cacciato dal potere con l’aiuto di mercenari. Nel 2004 entra in vigore un nuovo codice minerario  che vuole alienarsi alle norme internazionali, ma la maggior parte delle compagnie straniere avrebbero di lì a poco lasciato il Paese per le esose esigenze delle autorità centrafricane. Secondo l’International Crisis Group, il livello di tassazione troppo alto  non ha fatto altro che favorire il contrabbando. Approfittando della debolezza dello Stato, della criminalità e di una estrema povertà, molte fazioni ribelli hanno saputo trarre grandissimo profitto dalla manna diamantifera e comprare armi, tantissime armi. E’dai tempi di Bokassa che la follia del diamante sembra essersi impossessata del Centrafrica. L’ex Presidente non si tratteneva nell’esibire al Mondo intero la ricchezza del Paese regalando piastrine cosparse di diamanti ai suoi “amici” stranieri.

In Centrafrica, l’estrazione dei diamanti è cominciata nel 1927 nei giacimenti alluvionali situati intorno ai fiumi Membere e Lobaye, nel Sud Ovest del Paese e intorno al fiume Kotto ad Est. Secondo le statistiche dell’Ufficio di valutazione e di controllo dei diamanti e dell’oro (Becdor), il Cetrafrica avrebbe esportato 311.784 carati nel 2009. Poca roba se confrontato al Botswana, primo esportatore di diamanti africano e secondo al Mondo dietro alla Russia, con una media di 32 milioni di carati all’anno. Bisogna però tener presente che le statistiche che riguardano il Centrafrica non includono i proventi  che derivano dal contrabbando.

Aiutare il Paese a darsi nuove norme e reintegrarlo nel Processo di Kimberly, rendendo questo importante commercio il più “pulito” possibile, potrebbe essere una delle strade percorribili per farlo uscire anche dalla grave crisi umanitaria che sta vivendo.

©Futuro Europa®

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