Europa e Pareggio di bilancio
Il problema dell’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione fu già posto dai padri costituenti nel processo formativo della Carta. Tale norma era vista positivamente da Luigi Einaudi che rimarcava l’abitudine di alcuni parlamentari di «proporre spese senza nemmeno rendersi conto dei mezzi necessari per fronteggiarle». Pur non riuscendo nell’intento, lasciando quindi al solo Governo la competenza sulle leggi di bilancio, lo stesso Einaudi, assieme a Mortati e Vanoni, fecero passare il principio che per ogni legge che prevede nuove e maggiori spese è necessario indicare come reperire i mezzi per farvi fronte.
Quando a marzo 2012 fu sottoscritto il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance, in tale ambito si evidenziò la necessità di rafforzare l’impegno italiano a risanare le finanze pubbliche. In tale contesto si dette attuazione ai vincoli posti dal “Patto Europlus” nel marzo 2011 e dal “Six Pack” dell’ottobre 2011 . Le decisioni prese nel Consiglio ECOFIN, e successivamente ribadite nel “Fiscal Compact” del gennaio 2012, sono state attuate per rendere efficace e cogente la disciplina di bilancio, nonché potenziare il coordinamento delle politiche economiche. Gli Stati firmatari del Trattato si impegnarono ad inserire la regola del bilancio in pareggio all’interno del quadro legislativo nazionale con modifiche di carattere vincolante e permanente, preferibilmente a livello costituzionale. L’obiettivo è quello di perseguire un target di crescita sostenibile, occupazione e competitività. Contemporaneamente gli Stati si impegnarono a recepire gli specifici meccanismi di correzione da attivare nel caso di scostamenti tra i risultati conseguiti e l’obiettivo di medio termine (MTO). L’allineamento del sistema di regole interne con le nuove disposizioni europee è avvenuto per l’Italia con l’approvazione del la legge costituzionale n.1/2012, che ha modificato il dettato degli articoli 81, 97, 117 e 119 stabilendo che la PA deve assicurare l’equilibrio tra entrate e spese nel bilancio e la sostenibilità del debito conformemente alle regole della UE. Il ricorso all’indebitamento è dunque previsto solo in casi particolare (gravi recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali) previa autorizzazione del Parlamento.
Tale innovazione non è stata esente da critiche, seguendo i dettami macro-economici , valorizzando quindi la spesa pubblica al netto degli interessi sul debito, otteniamo il saldo primario, ben diverso dal saldo di esercizio che comprende appunto la spesa per interessi. Dagli anni ’90 siamo stati in deficit solo negli anni 1991-1992-2009, nel periodo in esame 1995-2012 abbiamo avuto un trend simile a quello tedesco e nettamente migliore di Francia e Regno Unito. Questa statistica è da tenere in considerazione quando si parla di tagli alla spesa pubblica, perché per quanto possa essere mal gestita, la spesa relativa alla PA non è in deficit, in pratica lo Stato incassa in tasse più di quello che spende in servizi (pessimi). Quello che ha creato e continua ad alimentare il debito, è la spesa per interessi.
Alla luce dei problemi generati dalla norma del pareggio del bilancio federale all’Amministrazione statunitense, 8 illustri economisti tra cui 5 premi Nobel (Kenneth Arrow, Peter Diamond, EricMaskin, Carlo Schultze, William Sharpe, Robert Solow; Alan Blinder, Laura Tyson) hanno indirizzato una lettera al Presidente Obama evidenziando i molteplici fattori negativi dell’inserimento del vincolo costituzionale del pareggio di bilancio, che rappresenta una camicia di forza economica per lo Stato. Ricordando le perplessità già esposte dal prof. Valerio Onida nel 1969, il pareggio di bilancio impedirebbe al settore pubblico ciò che normalmente avviene nel settore privato, il ricorso al debito per finanziare spese per infrastrutture, istruzione, ricerca e sviluppo, protezione ambientale e altri investimenti vitali per il benessere futuro della nazione e si incentiverebbe il ricorso a pratiche contabili creative.
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