Cronache dai Palazzi
L’esecutivo Renzi lancia la riforma della scuola e indietreggia sulla riforma della Pubblica Amministrazione estendendo al 2015 il blocco dei contratti per i dipendenti pubblici. In particolare a proposito di riforma del sistema scolastico il 15 settembre partirà un consultazione, aperta fino al 15 novembre, per evitare che sia l’ennesima “riforma calata dall’alto”. La consultazione “si concluderà con un decreto legge all’inizio del 2015”, ha spiegato il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini che puntualizza la “coesione” della squadra di Renzi.
Nel frattempo è arrivato l’ok da parte dell’Unione europea sulla riforma della giustizia civile. La neo-commissaria Ue alla giustizia, Martine Reicherts, ha elogiato le proposte del governo italiano, definendo “coraggiose e nella buona direzione”, le scelte del ministro Andrea Orlando in materia di processo civile e di riduzione dei processi. “La riforma del processo civile persegue obiettivi comuni all’Italia e alla Commissione europea”, ha dichiarato la commissaria lussemburghese al termine di un incontro con Orlando a Bruxelles, dato che “la questione dei ritardi è una delle questioni chiave”. Per Reicherts quella dell’Italia per la giustizia civile “è una politica di crescita” economica, un aspetto confermato dal ministro Orlando. Il progetto “è un tutt’uno con l’aspetto della crescita”, ha affermato il Guardasigilli, e il fatto che la Commissione europea lo riconosca “come parte integrante delle riforme strutturali per far ripartire l’economia”, è un fattore positivo.
Tornando alla Pubblica amministrazione, la decisione di estendere al 2015 il blocco dei contratti per i dipendenti pubblici, iniziato con il decreto legge 78 del 2010, è stato giustificato dal ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, con una mancanza di coperture: “In questo momento le risorse per sbloccare i contratti non ci sono perché l’Italia e ancora in una situazione di difficoltà economica”, ha dichiarato il ministro Madia, e dato che il governo “è impegnato a tirare fuori il Paese dalla crisi, l’alleanza prima di tutto è con chi ha più bisogno, quindi confermiamo il bonus degli 80 euro, che vanno ai lavoratori pubblici”, che prendono fino a 26 mila euro l’anno. Nel Def diffuso a metà aprile il Tesoro calcolava che (a politiche invariate) un aumento degli stipendi di 3 milioni e 300mila dipendenti pubblici avrebbe comportato oneri per 2,1 miliardi nel 2015, una copertura che evidentemente, cinque mesi dopo, il governo non è in grado di assicurare.
Le decisioni dell’esecutivo Renzi provocano così una spaccatura nella società civile e scuotono il mondo politico. Le opposizioni attaccano Palazzo Chigi rilevando la contraddizione fra l’annuncio di Madia sul blocco e quello del premier Matteo Renzi a proposito della futura assunzione di 150mila insegnanti: “Il governo sembra essere in stato confusionale, se possibile più del solito”, ha commentato il capogruppo forzista alla Camera, Renato Brunetta, mentre per Nicola Frantoianni, coordinatore di Sel, si tratta di “un vero capolavoro. La verità è che il governo con una mano dà e con due mani toglie”.
All’interno della stesso Governo i primi distinguo con il Sottosegretario alla Difesa on. Domenico Rossi dei Popolari per l’Italia in una intervista al Corriere della sera: ”Il comparto difesa e sicurezza non è più mortificabile. Non possiamo continuare a mortificarlo. L’uscita del ministro Madia (sul blocco degli stipendi ai dipendenti pubblici) ha messo in luce una difficoltà economica che senz’altro c’e’. Adesso tocca però al governo e al Parlamento, nella cornice della legge di stabilità, riuscire a trovare delle risorse per rispondere”.”La specificità del comparto sicurezza deve essere riconosciuta proprio per il lavoro che svolgono queste persone – aggiunge – e’ un compito di cui devono farsi carico il Governo, il Parlamento, le amministrazioni locali e le rappresentanze del personale. Non dimentichiamo che il sacrificio di queste persone va oltre, fino ad anteporre anche la propria vita personale per l’interesse generale”.
Sulla stessa linea il Vicepresidente nazionale dei Popolari per l’Italia, Potito Salatto: “ha dell’incredibile definire un ‘ricatto’ il legittimo diritto delle forze dell’ordine e, in generale, del comparto difesa e sicurezza, di scioperare per il blocco degli stipendi”. “Il nostro è un Paese che ha conosciuto negli anni innumerevoli scioperi di natura politica con conseguenti dimissioni dei Governi democraticamente eletti, eppure la sinistra che guida l’esecutivo risponde con tanta acredine e arroganza. Come mai? – si chiede Salatto – ecco il vero volto di Renzi, malgrado i suoi ripetuti sforzi di apparire un liberale”.
Per Cgil, Cisl e Uil la “mobilitazione dei lavoratori pubblici è inevitabile” e i sindacati di Polizia, pur apprezzando “la disponibilità al confronto” manifestata dall’apertura di Renzi, sono pronti a bloccare il sistema sul quale si regge la sicurezza del Paese. Una protesta inedita, quindi, che rischia di paralizzare le istituzioni, oltre ad essere la prima vera protesta di origine popolare che andrebbe a scuotere il fatidico 40% sul quale Renzi ha costruito la sua fortuna.
Renzi però pare non molli e soprattutto non accetta “ricatti” anche se si dichiara disposto a “discutere”. Il presidente del Consiglio sottolinea inoltre che si sta soltanto attuando “quello che era già previsto nel Def per gli statali”, ossia il no agli aumenti degli stipendi. “Voglio comunque ricordare – ha puntualizzato Renzi – che non stiamo toccando lo stipendio, né il posto di lavoro a nessuno” e l’avvertimento finale è questo: “Noi ci sediamo al tavolo, ma allora si parla anche del fatto che cinque corpi di Polizia sono troppi”. Renzi quindi non incassa la protesta e, al contrario sferra il suo attacco: “In un momento di crisi per tutti – sottolinea il primo ministro – fare sciopero perché non ti danno l’aumento è ingiusto”. E aggiunge: “È ingiusto scioperare per i mancati aumenti quando ci sono milioni di disoccupati nel nostro Paese”.
Renzi dovrà comunque far fronte ad un autunno caldo reso ancora più bollente dall’imminente Patto di Stabilità europeo – che definirà il doppio fronte europeo Bce-flessibilità sui conti – e dalla legge di Stabilità interna vincolata comunque alle decisioni che si prenderanno in Europa nei primi giorni di ottobre.
Il presidente della Bce, a sua volta, abbassando i tassi di interesse – manovra finalizzata, in particolare, ad eliminare eventuali incertezze delle banche sul programma di Tltro, cioè dei prestiti a lungo termine al sistema del credito destinati ai finanziamenti a imprese e famiglie (esclusi i mutui immobiliari) che partirà con la prima operazione il 18 settembre – ha lanciato un ennesimo avvertimento: “Non c’è stimolo monetario o di bilancio in grado di rilanciare la crescita senza riforme strutturali ambiziose e forti”. Non c’è “una trattativa ognuno di noi deve fare il suo lavoro. Noi facciamo politica monetaria, i governi le altre cose che sono necessarie, sempre dentro le regole dei trattati. Per di più le riforme, secondo Draghi, “devono essere ricondotte entro lo stesso tipo di cornice che già esiste per la disciplina di bilancio: non si tratta di perdita di sovranità nazionale ma di una condivisione di regole comuni”.
Mentre lo spread scende a 138 punti, il livello al quale era prima della crisi, i margini per le manovre economiche, da portare a termine in tempi brevi (tra cui il Jobs Act), sono in verità molto stretti, e l’idea di tagliare 20 miliardi di euro con la prossima legge di Stabilità sembra a sua volta una manovra molto ambiziosa ma, alla luce dei fatti reali, non facile da concretizzazione.
In un’intervista al Sole 24 ore Renzi ha comunque ribadito il numero magico di 20 miliardi e ha lanciato la sua lotta al “capitalismo dei salotti buoni”. Nel frattempo ha disertato il consueto appuntamento di Cernobbio, sovvertendo i rapporti tra politica e mondo dell’economia e rimarcando la sua distanza da quello che il premier chiama “l’establishment”. “L’establishment che storce il naso è lo stesso che ha rovinato il Paese”, chiosa Renzi nella sua intervista sul Sole 24 ore.
Con la legge di Stabilità Renzi vorrebbe confermare il bonus degli 80 euro e “provare ad estenderlo” aggiungendo inoltre risorse per la scuola – “mettere soldi nella scuola non è un costo ma un investimento”, assicura Renzi – la ricerca e l’innovazione, ma dovrà comunque fronteggiare il mondo produttivo che vorrebbe concentrare le risorse (10 miliardi) del “premio” in busta paga su un abbattimento del cuneo fiscale per le imprese.
In definita la prossima grande manovra finanziaria non si rivelerà un’operazione indolore, e pur tentando di tenere fuori dai tagli gli enti locali, per evitare un appesantimento della tassazione locale, ed evitando l’intervento sulle partecipate – che forse non sarà incluso nel ddl stabilità per evitare spiacevoli conseguenze a danno dei lavoratori – le scelte da fare saranno comunque difficili, anche perché a temi economici si accavallano temi politici, soprattutto all’interno del Pd, dove Bersani e D’Alema hanno ormai esplicitato i loro ruggiti nei confronti del segretario-premier, una sovrapposizione di ruoli criticata dallo stesso Bersani. D’Alema, invece, nel ribadire che non si vede una via d’uscita dalla crisi ha affermato: “Non sono i giudizi di D’Alema, ma i dati dell’Istat e non mi si può rispondere che voglio le poltrone. Sono cose umilianti, che danno la sensazione di un fastidio verso il dibattito democratico”.
L’asse con Berlusconi, infine, regge, anche se l’ex Cavaliere sembra pronto ad un nuovo incontro con il capo dell’esecutivo per mettere (ancora una volta) nero su bianco un’intesa sull’Italicum (per ora fermo in commissione Affari costituzionali) e sul prosieguo delle riforme.
I tempi non saranno brevissimi. Al Senato la precedenza spetta al decreto Sblocca Italia, seguito dalla riforma della Pubblica amministrazione e forse dal tanto atteso Jobs Act che dovrebbe sbloccare a sua volta il mercato del lavoro, tentando di risolvere (magari) il problema dei problemi che assilla il Paese: la carenza di occupazione. Il Jobs Act elaborato dal governo Renzi va “approvato e reso operativo rapidamente”, ammonisce l’Ocse ribadendo l’allarme sulla disoccupazione in Italia – che quest’anno (2014) salirà al 12,9% (12,6% nel 2013) – e auspicando, nel contempo, un superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Secondo l’Ocse in Italia la disoccupazione continuerà a crescere fino alla fine del 2015.
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