Chimica verde, l’Italia all’avanguardia

Siamo pronti alla liberazione: quella dai combustibili fossili. Lo siamo dal punto di vista tecnologico; ma non lo siamo a livello di consapevolezza, ed è un peccato. Per capire di cosa oggi disponiamo per riconvertire in senso ‘eco’ l’economia mondiale, basta pensare all’enorme potenzialità dell’italianissimo Solare Termodinamico a Concentrazione (CSP), sviluppato nei primi anni Duemila da Enea su un’intuizione del Nobel Carlo Rubbia: una tecnologia che con impianti per una superficie totale di 200 chilometri per 200 potrebbe sostituire tutta l’energia elettrica ancora prodotta, nel mondo, con i fossili. Sul CSP stanno investendo in grande, grazie alle imprese italiane riunite in Anest – Associazione Nazionale Energia Solare Termodinamica, Giappone, Cina e Paesi Arabi. Noi no, ed è un peccato. O basta pensare ai superconduttori, in grado di portare in rete fino al terminale dei motori elettrici l’energia prodotta dalle Rinnovabili. Se, dunque, ancora per decenni utilizzeremo energia prodotta seguendo logiche ormai obsolete e molto inquinanti, lo dovremo non alla ricerca o alla tecnologia, ma soltanto alle logiche sovrane del mercato e dell’economia e alle decisioni politiche che dipendono da esse.

Siamo pronti all’affrancamento dagli idrocarburi anche come fonte di materia prima: ne è un esempio la chimica verde, nella quale, pure, l’Italia primeggia nel mondo e a differenza di quanto accade con le Rinnovabili riesce a realizzare impianti anche sul proprio territorio. Ha fatto notizia l’inaugurazione, a luglio, della bioraffineria di Matrica a Porto Torres, in Sardegna. La chimica verde italiana primeggia non per quantità, non potendo competere con numeri come, ad esempio, i 7 miliardi di dollari investiti nel 2013 dagli USA in tecnologie verdi a fronte dei 700 milioni investiti in Italia; ma per qualità e soprattutto capacità di innovazione. Su questo fronte in prima linea ci sono le aziende italiane Novamont, Eni, Versalis e Bichemntex, che hanno dato vita ad un cluster insieme ad altre centro fra aziende, università,  enti di ricerca pubblici fra i quali il CNR e l’ENEA, e da otto regioni italiane per favorire lo sviluppo di industrie che utilizzino materia prima vegetale e materie seconde per sostituire in parte o in tutto gli idrocarburi. Una ‘rete’ nata in risposta al bando pubblicato dal MIUR nel 2012, quando era ministro Francesco Profumo, per la costituzione di otto cluster tecnologici per l’innovazione in vari settori produttivi, anche con l’obiettivo di mettere a frutto fondi comunitari come quelli per il programma europeo da 70,2 miliardi di finanziamento Horizon 2020, mirato al raggiungimento degli obiettivi di Europa2020.

Il cluster italiano della chimica verde si chiama ‘Spring’, Primavera; ma il nome, che promette una nuova sorridente stagione, è l’acronimo di Sustainable Processes and Resources for Innovation and National Growth. La nuova stagione è quella delle tecnologie innovative, ma prima ancora quella delle aziende e dell’intero comparto chimico, che nel secondo dopoguerra ha rappresentato una grande risorsa economica del Paese ma era decaduto. Tecnologie da cui sono nati gli ormai ben noti bio-shoppers realizzati con il Mater-bi, plastica biodegradabile per la struttura chimica naturale attaccabile dai batteri e realizzata in gran parte con materia prima vegetale. E da cui derivano prodotti come il bio etanolo, il biocemento, i biocarburanti, e gomme naturali. Ma le aziende italiane, come testimonia Legambiente che ha seguito con occhio critico l’evoluzione delle industrie italiane, sono sopravvissute e risorte grazie anche ad investimenti nei sistemi produttivi: in trent’anni hanno aumentato la propria efficienza energetica del 45 per cento e ridotto i consumi di energia del 36,7 per cento. Tutto ciò ha prodotto una vera e propria riconversione, il rilancio ed una nuova vita per un comparto un tempo nemico e ora amico dell’ambiente.

Ecco dunque il nuovo stabilimento eco-chimico a Porto Torres, realizzato dalla joint-venture tra Versalis e Novamont ‘Matrica’, che ha mantenuto i 700 posti di lavoro rimasti nella precedente struttura e che produrrà a partire da una pianta come il cardo materie prime per bioplastiche, biocarburanti, gomme per pneumatici, lubrificanti, detersivi e prodotti fitosanitari e cosmetici. Una realizzazione elogiata da Kyoto Club e Lagambiente e definita da Green Italia come paradigma alternativo al modello Ilva. Ecco, ancora con Novamont,  lo stabilimento che ad Adria in Veneto produrrà a partire da biomasse butandiolo, un alcol precedentemente ottenuto dalla distillazione del petrolio. Ecco, presente anche qui Novamont, il complesso lavoro per il rilancio dello storico polo chimico di Porto Marghera. Ecco la bioraffineria di Crescentino, in provincia di Vercelli, dove la Beta Renewables trasformerà gli scarti della lavorazione del riso in bioetanolo. Ecco il poliestere ecologico Origo-Bi prodotto da Biochem nel polo biochimico di Terni: tutte storie di recupero di imprese e impianti in decadenza, di salvataggio di posti di lavoro e di riconversione di metodi produttivi e comparti produttivi a vantaggio dell’economia locale ma anche mondiale.

Già, perché l’innovazione, quando è rivolta alla sostenibilità e alla salvaguardia dell’ambiente, è un bene comune che va ben oltre i confini di un territorio, di un Paese. E anche se a livello internazionale l’Italia non riesce storicamente ad ottenere gli spazi che merita per via delle logiche sovrane dei mercati, il nostro Paese mantiene un ruolo fondamentale che, come un tempo, è ancora fortemente culturale: oggi rappresentato dall’evoluzione dell’energia, delle produzioni e dalla riconversione ecologia e sostenibile di tutta l’economia mondiale. Un ruolo che non esercita solo, come siamo abituati a pensare, attraverso i ‘cervelli in fuga’ che primeggiano nella ricerca e nelle imprese di mezzo mondo, ma anche con un efficiente gioco di squadra e con belle e concrete realizzazioni proprio qui, nell’ultimo degli angoli del mondo dove troppi Italiani sono portati ad immaginarle: sul nostro stesso suolo, nel nostro stesso Paese.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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2 Comments

  • Perché non adottare queste innovative soluzioni per risolvere gli annosi problemi del Sulcis ?

    • In effetti esiste un ‘Piano Sulcis’, del quale si è parlato a fine luglio in un incontro Alcoa-Sindacati presso il Ministero dello Sviluppo Economico, che prevede la riqualificazione, la reindustrializzazione e la bonifica dell’area; oltre al salvataggio dei posti di lavoro. Esiste però anche un’ipotesi di acquisto da parte della mineraria svizzera Glencore e di Klesh. Seguiremo la vicenda.

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