Il pianeta delle scimmie (Film, 1968)

Il pianeta delle scimmie di Franklin J. Shaffner vinse un Premio Oscar per il miglior trucco (John Chambers) – per i tempi innovativo – e due nomination (costumi e colonna sonora), ma il suo valore intrinseco è più alto. Non siamo di fronte al solito film di fantascienza ma a un vero e proprio apologo morale, che in parte si discosta dal romanzo (il finale, la lingua parlata dalle scimmie, la tecnologia, il luogo dove si svolge l’azione, il protagonista) per portare avanti un messaggio pacifista, d’integrazione razziale e antinucleare. Il regista compie persino un discorso critico verso la religione che ostacolerebbe la ricerca scientifica.

Vale la pena di riscoprire un piccolo capolavoro, che ha avuto alcuni sequel di minore importanza riconducibili alla cinematografia di genere fino a recenti prodotti che sfruttano gli effetti speciali in totale assenza di storia. Un capolavoro è tale se resiste nel tempo e permane nell’immaginario collettivo fino al punto di far scrivere sequel e prequel, in un’interminabile gara a chi la spara più grossa. Veniamo alla storia. Quattro astronauti viaggiano alla velocità della luce e la loro navicella si schianta in un pianeta che pare desertico. Non è così, perché è una terra abitata da umani ridotti a bestie sottosviluppate che non parlano e da scimmie intelligenti che dominano sul creato. George Taylor (Heston) è il solo astronauta superstite e le scimmie al comando cercano di renderlo inoffensivo quando si accorgono che si tratta di un essere intelligente. Per fortuna Cornelius (McDowall) e la dottoressa Zira (Hunter) riescono a salvarlo, nonostante l’opposizione del professor Zaius che ritiene gli uomini un pericolo (Evans).

Le scimmie al potere conoscono la verità, ma non vogliono che si diffonda la consapevolezza che gli uomini governavano una terra che hanno distrutto. Usano la religione per impedire ogni scoperta scientifica e per tenere in condizione d’ignoranza il popolo. Tra le scimmie esiste una gerarchia, come fa notare Taylor, perché “alcune scimmie sono più scimmie delle altre” (cita La fattoria degli animali di Orwell): gli oranghi sono al potere, gli scimpanzé non possono ricoprire certi incarichi, i babbuini sono a un gradino inferiore, i gorilla sono l’esercito, il braccio armato del potere. Un buffo tribunale che giudica l’umano intelligente presenta le tre scimmie ottuse nell’atto di non vedere, non parlare e non sentire, per far capire come il potere non voglia sentire ragioni quando si è già costruito una realtà preconfezionata. “L’uomo è un artiglio del demonio. Uccide per lussuria e per avidità. L’uomo è messaggero della morte”, afferma il professor Zaius. E aggiunge: “Quello che potresti trovare non ti piacerebbe. La zona deserta era un Paradiso e la tua gente l’ha trasformata in un deserto, millenni fa!”. La fede religiosa fino a quel momento è servita a nascondere una triste verità, ma il personaggio del professor Zaius serve al regista per far capire come la religione non possa andare d’accordo con la scienza.

La fuga di Taylor si conclude davanti a quel che resta della Statua della Libertà crollata in mare, in una sequenza epocale che sconvolse il pubblico del 1968. Stupenda la filippica di Charlton Heston contro il genere umano che ha distrutto sé stesso e il suo mondo lasciandolo in balia di scimmie antropomorfe. L’astronauta scopre di essere tornato sulla terra, ma in un pianeta troppo cambiato, sconvolto da guerre ed esplosioni atomiche. Ricordiamo anche una storia d’amore appena accennata tra l’uomo intelligente e una donna che non parla, prigioniera nella gabbia e compagna di fuga. La vera storia d’amore intellettuale è tra la dottoressa Zira e Taylor, visto come un possibile spiraglio al sogno di scoprire la verità. La teoria evoluzionistica viene osteggiata dal potere su basi religiose ed è un fatto che ricorda una simile ottusità terrestre.

Un film perfetto, sceneggiato a dovere, montato con grande ritmo, interpretato benissimo, fotografato con toni nitidi, ricco di effetti speciali e dotato di un trucco eccellente. Colonna sonora suggestiva che accompagna l’uomo verso la triste scoperta di un orrore infinito. Da rivedere al posto dei contemporanei L’alba del pianeta delle scimmie (2011) e Apes Revolution (2014), ma anche per capire la differenza tra il vero cinema e un videogame.

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Regia: Franklin J. Shaffner. Soggetto: Pierre Boulle (romanzo omonimo). Sceneggiatura: Michael Wilson, Rod Serling. Fotografia: Leon Shamroy. Montaggio: Hug S. Fowler. Effetti Speciali: L. B. Abbott, Art Cruickshank, Emil Kosa Jr. Trucco: John Chambers. Costumi: Morton Haack. Musiche: Jerry Goldsmith. Produzione: 20th Century Fox. Genere. Fantascienza. Durata: 112’. Interpreti: Charlton Heston, Roddy McDowall, Kim Hunter, Maurice Evans, James Withmore, James Daly, Linda Harrison, Robert Gunner, Lou Wagner, Woodrow Parfrey, Jeff Burton, Buck Kartalian, Norman Burton, Wright King, Paul Lambert, Dianne Stanley.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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