La barbarie inutile
Guardando le agghiaccianti immagini delle esecuzioni di ostaggi occidentali per mano della jihad islamica, ho ripensato a un episodio di quasi un quarto di secolo fa. Vivevo e lavoravo a Bruxelles, come Capo del Segretariato della Cooperazione Politica Europea e un giorno venne a trovarmi un ufficiale dei nostri Servizi di sicurezza, per avvertirmi che, in un covo della Brigate Rosse scoperto dalla polizia francese a Parigi, era stata trovata una lista di possibili obiettivi di attentati. Tra gli altri c’eravamo io e Marcello Guidi, a quel tempo Vicesegretario Generale della NATO. Tra le carte brigatiste erano state trovate cartine topografiche di Roma, con i percorsi di avvicinamento alle nostre rispettive case, segno che attaccarci non era un’eventualità astratta ma era stata oggetto di una certa preparazione.
Secondo i nostri Servizi, la cosa s’inquadrava nel contesto della lotta che le BR conducevano contro la NATO e l’arcinemico americano. Per Marcello valeva la sua funzione di numero 2 dell’Alleanza, per me, ritengo, il fatto che, nelle mie precedenti funzioni romane di Vicedirettore degli Affari Politici alla Farnesina, avevo partecipato alla decisione italiana di consentire il mantenimento di depositi di mine americane sul nostro territorio, elemento considerato essenziale per la nostra difesa contro minacce che, a quell’epoca, venivano ancora da URSS e Patto di Varsavia. Intendiamoci, la decisione non era stata – né, date le mie funzioni e il mio ruolo, poteva essere – mia. A me era spettato però il dovere di richiamare l’attenzione del Governo sulla richiesta alleata e sollecitare una decisione in tempi utili per il dibattito che era in corso a Bruxelles. Lo avevo fatto nel modo più imparziale e neutro che mi era possibile, ma senza nascondere le conseguenze negative di un nostro rifiuto. Sul tema, nel governo di allora non c’era grande intesa: Spadolini, Ministro della Difesa e tutto il suo Dicastero, erano schierati a favore della richiesta americana, Andreotti, Ministro degli Esteri (e già allora in posizione di fronda rispetto a Washington) preferiva non decidere. Fu risolto di demandare la questione a Craxi, Presidente del Consiglio, con un memorandum che inviammo alla Presidenza e che ci tornò con l’approvazione del Presidente. Però, quando alcuni deputati della sinistra rivolsero una protesta al Governo, Craxi fece come se non ne avesse saputo nulla e provò a scaricare la responsabilità su “un funzionario minore della Farnesina”, cioè io. Giunse fino a chiedere ad Andreotti la mia testa. Io però avevo conservato, come logico, il memorandum con le istruzioni siglate dal Consigliere Diplomatico del Presidente e quindi Andreotti (lo dico con retrospettiva riconoscenza) respinse la richiesta al mittente. Ma intanto il mio nome, anche se non nella stampa, era circolato e dovette attirare la “benevola” attenzione delle BR.
Come reagisce una persona quando scopre di essere nel mirino del terrorismo? Sarà stata incoscienza, nel mio caso reagii con una certa freddezza. Adottai le precauzioni che mi venivano consigliate (cambiare frequentemente itinerari ed abitudini), ma non senza un certo scetticismo sulla loro efficacia. A darmi una certa tranquillità c’erano due elementi: il fatto che la mia residenza e il mio ufficio erano periodicamente “visitati” dalla polizia belga e la circostanza che quel nucleo brigatista che usava il covo parigino era stato, secondo i nostri servizi, sgominato. Ma al di là di timori o fatalismo, ricordo di essermi posto una domanda insistente e insidiosa: perché il terrorismo? A che serve? Quali deformate illusione animano i suoi autori? Al di là delle loro convinzioni ideologiche, che ovviamente sono aperte a discussione, che cosa sperano di ottenere? Se anche le BR riescono a togliere di mezzo me, Marcello Guidi, altri funzionari italiani più o meno legati alla NATO, davvero credono che una cosa grossa e importante come l’Alleanza Atlantica possa scomparire?
Avevano ucciso Aldo Moro pensando di far crollare lo Stato borghese. Ma lo Stato era rimasto in piedi e loro erano finiti in galera. Dunque c’era negli atti e nei propositi dei brigatisti un’inerente inutilità che rendeva le loro azioni ancora più disumane. Talvolta mi immaginavo di parlare con i brigatisti e dire loro: la causa ideale per cui credete di battervi non é ignobile, ma voi la rendete tale con i mezzi che adoperate per sostenerla. In una società democratica le proprie convinzioni si portano avanti con i soli mezzi leciti: la dialettica politica, il voto. La vostra ricetta, dai tempi del terrorismo anarchico, si è dimostrata fallimentare.
Possiamo parlare di inutile assurdità, e quindi di barbarie tanto più evidente, per il terrorismo della jihad, che opera in modo ben più feroce? Penso di sì: l’11 settembre pareva dover far crollare l’America, ma l’America si è risollevata e ha assestato ai terroristi una serie di colpi letali. Madrid e Londra sono state ferite, ma Spagna e Inghilterra non hanno ceduto. Ora ci infliggono l’angoscia delle esecuzioni in diretta. Il cuore ci sanguina per le vittime innocenti e le loro famiglie, ma la domanda è la stessa: davvero si crede di poter piegare con questi orrori un’intera civiltà con la sua immensa estensione e forza? Non si capisce che quegli atti non fanno che rafforzarne la determinazione a reagire?
Immaginiamo per un attimo che la jihad, ottenuta una vittoria militare in Irak e Siria, si fosse affermata come un potere tollerante e non barbaramente omicida. Esempi di Islam moderato, in definitiva, esistono. Non sarebbero oggi molto meno decise le reazioni dell’Occidente? Non sarebbe più produttivo, per il bene stesso della causa islamica, promuoverla con il dialogo al quale dalle nostre parti c’è sempre qualcuno fin troppo pronto a prestarsi? Facendo così ci lasciate una sola scelta: difenderci con la forza.
Bisogna davvero concludere che – come a suo tempo fu il caso per Saddam Hussein e per Osama Bin Laden – i nemici dell’Occidente, corretti nell’analizzarne debolezze e vizi (non fanno per questo un grande sforzo, basta leggersi i discorsi del Papa e le geremiadi di tanti nostri intellettuali) continuano a sottovalutarne completamente la capacità di difendersi e di colpire. Sottovalutano soprattutto la mentalità e le risorse del “grande Satana” americano, un Paese ancora giovane, convinto e orgoglioso della propria forza anche morale. Le sorti di Saddam Hussein e di Osama Bin Laden, evidentemente, non hanno insegnato nulla.
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