USA e armi chimiche, una relazione complicata
Alcuni documenti della CIA rivelano che Washington abbia fornito nel 1988 informazioni strategiche a Baghdad affinché attuasse attacchi chimici contro l’esercito iraniano. Sembra una Storia ormai lontana, ma questa ha oggi una risonanza particolare visto che la pressione internazionale si concentra sul regime siriano, accusato di aver utilizzato armi chimiche contro la popolazione.
Gli Stati Uniti vengono raggiunti dal loro passato. Washington, che chiede alla comunità internazionale di contribuire con una “risposta ferma” contro la Siria a seguito dell’attacco con armi chimiche del 21 Agosto scorso che attribuisce a Bachar al-Assad, si trovava nella situazione inversa 25 anni fa, in piena guerra Iran-Irak. Secondo alcuni documenti recentemente derubricati dalla CIA e pubblicati dall’importante rivista Foreign Policy, i Servizi americani avrebbero servito su di un piatto d’argento all’ex Presidente iracheno le informazioni necessarie al bombardamento con armi chimiche delle truppe iraniane nel 1988. Foreign Policy, che ha anche intervistato diversi ex dirigenti dei servizi segreti, afferma che gli Stati Uniti hanno procurato all’Irak delle immagini satellitari che mostravano il posizionamento delle forze iraniane, sapendo perfettamente che Baghdad avrebbe lanciato un offensiva al gas nervino contro l’Iran. “Gli iracheni non hanno mai detto che avrebbero usato gas nervino. Non avevano bisogno di farlo. Lo sapevamo già”, ha dichiarato a Foreign Policy il colonnello a riposo Rick Francona, attaché militare a Baghdad nel 1988. Secondo questi rapporti della CIA, gli Stati Uniti avevano dal 1983 la “prova provata” che ci sarebbero stati attacchi con armi chimiche irachene, grazie alla ricognizione satellitare che testimoniava, prima di ogni offensiva di Baghdad, degli spostamenti di materiale chimico iracheno nella stessa direzione delle batterie di artiglieria situate di fronte alle postazioni iraniane. Baghdad utilizzava sostanze mortali come il gas Tabun, Iprite e Sarin. Quest’ultima sostanza inodore e incolore blocca la trasmissione degli impulsi nervosi, portando alla morte per arresto cardiaco e della respirazione.
Ironia della sorte, oggi è Bachar al-Assad ad essere sospettato di aver utilizzato questa arma letale contro la sua popolazione e i ribelli siriani mercoledì scorso nella periferia di Damasco, causando la morte di 355 persone secondo Medici Senza Frontiere, 1300 secondo l’opposizione siriana. Per Baghdad si trattava di boicottare gli attacchi di orde umane di soldati iraniani pronti al martirio. A quell’epoca, la Repubblica Islamica si lamentava già pubblicamente di essere vittima di attacchi non convenzionali, senza provocare la benché minima reazione internazionale, compresa quella dell’ONU. Eppure, l’utilizzo di armi chimiche è vietato dal Protocollo di Ginevra del 1925, i cui firmatari devono anche impegnarsi ad “attuare tutti gli sforzi possibili per portare altri Stati a firmare” il testo. Gli Stati Uniti l’hanno ratificata nel 1975, non l’Irak. Ora, i documenti della CIA resi pubblici da Foreign Policy, mostrano che alti responsabili americani venivano regolarmente informati sulla portata dell’uso di gas nervino da parte di Baghdad. Armi che, secondo il Direttore centrale dei Servizi, William J. Casey, potevano essere utilizzate contro l’esercito iraniano, ma anche potenzialmente contro civili.
E’ noto a tutti che l’esercito iracheno ha “gasato” la città iraniana di Sardhast nel 1987, il villaggio di Zarde e la città di Oshnaviyeh nel 1988, causando centinaia di morti e migliaia di feriti. Come spiegare tale complicità? Durante gli otto anni della guerra Iran-Irak, Washington, come tutto l’Occidente, vedeva di cattivo occhio la crescita del movimento rivoluzionario sciita iraniano, preferendo sostenere il regime baathista laico di Saddham Hussein. In effetti i conteziosi con la Repubblica Islamica si moltiplicavano all’epoca, soprattutto a seguito della crisi nata dalla presa di ostaggi all’Ambasciata Americana a Teheran. Così, l’Amministrazione Reagan pensò fosse meglio lasciare che questi attacchi andassero avanti fino a che avessero potuto dare una svolta alla guerra. In caso di fallimento della strategia, la CIA puntava sul silenzio internazionale, che non è mancato. La posizione americana cambia nel 1987. Washington ottiene delle informazioni secondo le quali l’esercito iraniano avrebbero identificato un’importante punto debole del dispositivo di sicurezza iracheno. Teheran invia infatti un importante contingente ad est di Bassora, nel Sud dell’Irak. Secondo un Rapporto americano chiamato “Alle porte di Bassora”, la perdita della città poteva trascinare l’Irak alla sconfitta. Dopo aver letto il documento, il Presidente Reagan avrebbe definito l’ipotesi di una vittoria iraniana “inaccettabile”. Viene così presa la decisione ai vertici dello Stato di informare gli iracheni, foto satellitari alla mano, dello spiegamento di forze e dei movimenti delle unità iraniane, così come del posizionamento dei loro centri logistici e della difesa antiaerea. Questi elementi chiave hanno permesso agli iracheni di perpetrare quattro attacchi chimici, uccidendo ogni volta tra “centinaia e migliaia” di iraniani e garantendo loro un’offensiva vittoriosa nella Penisola di FAO, all’estremo Sud dell’Irak. Questa vittoria capitale di Baghdad ha permesso di riequilibrare il conflitto e di riportare l’Iran al tavolo dei negoziati. Il cessate il fuoco verrà firmato il 18 Luglio 1988 dopo otto anni di guerra, che ha provocato un milione di morti in Iran e 250mila in Irak.
Quanto a Washington, non ha saputo individuare il “demone” Saddam Hussein. Quest’ultimo non esiterà a puntare le sue armi contro il suo popolo, ad immagine e somiglianza di un certo Bachar al-Assad. Da Marzo a Settembre 1988, il rais iracheno ucciderà con armi chimiche più di 180mila Curdi durante l’operazione Anfal, nel Nord dell’Irak, in risposta al loro sostegno a Teheran.
Questa è acqua passata, ma sa tanto di presente.
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