La nostra terra
Il 13 settembre del 1982, esattamente trentadue anni fa, veniva approvata la legge 646, nota come Rognoni-La Torre. Per la prima volta nel Codice penale venivano introdotti il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis) e la norma per la confisca dei beni ai boss, con il loro conseguente riutilizzo sociale.
Pio La Torre fu il primo firmatario della proposta di legge da cui nacque poi il testo normativo, che lui amava definire “una legge per la democrazia”. Purtroppo non ebbe la soddisfazione di vederla approvare, perché la mafia lo uccise quattro mesi prima a Palermo, insieme con il suo amico e autista Rosario Di Salvo. Lo stesso destino sarebbe toccato a tanti di quei magistrati siciliani che avevano collaborato alla formulazione tecnica della legge in questione: dal giudice Rocco Chinnici, a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Un film delicato ma deciso è in questi giorni nelle sale a raccontare gli sviluppi di questa legge. Il film è “La nostra terra” e si svolge in un Sud dove fa sempre caldo, dove viene assegnato, non senza difficoltà, un appezzamento di terreno sequestrato al boss locale a una cooperativa un pochino scalcagnata. Tra carabinieri dal risvolto quasi tenero e braccianti variegati, il film scorre elegante in mezzo ai filari di uva e ai pomodori biologici. Bravissimo Sergio Rubini il fattore mafioso suo malgrado e straordinariamente moderno il boss.
Perché questa gente, i mafiosi, sono gente normale all’apparenza; non hanno i capelli gelatinati e non mangiano teste mozzate di capra a colazione; sono istruiti e usano la propria cultura per migliorare i loro affari, incuranti dei danni inflitti al territorio. I boss di adesso sanno parlare alla gente, frequentano bene, si vestono meglio. Non vanno in giro con i calzoni di fustagno imbracciando la lupara. Tommaso Ragno interpreta Nicola Sansone; e lo fa in modo attuale e non caricaturale, lo fa sorridere ma non amaro; parla con i politici con la confidenza necessaria ma dall’alto del suo potere. E per questo incute paura e non promette nulla di buono. Ma finirà diversamente, perché il film vuole essere un omaggio al coraggio della legalità. Vuole raccontare la storia di chi ce l’ha fatta, armato solo di zappa e desiderio di riscatto.
Alla prima del film c’era il ministro Poletti; lui di Cooperative ne sa parecchio e con la sua presenza ufficiosa, quasi amichevole, ha sottolineato l’importanza di queste realtà. Andatelo a vedere è davvero un bel film. Una sola cosa mi ha infastidito; l’uomo che viene a mettere in ordine le cose è un tipo del nord, Stefano Accorsi. Sempre la vecchia storia del nord che vuole insegnare al sud. Non è così, non lo è mai stato; ma gli stereotipi sono duri a morire, proprio come la mafia.
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