Scozia, scampato il disastro economico

La Scozia continuerà a far parte del Regno Unito. È questo il risultato delle consultazioni che con grande richiamo mediatico si sono tenute la settimana scorsa nella Manica: il fronte dei secessionisti è stato sconfitto alle urne per uno scarto di undici punti percentuali, 44,70% contro 55,30%. Ma cosa si è scampato con la sconfitta degli “indipendentisti”? Secondo gli analisti delle principali istituzioni finanziarie inglesi e non, le conseguenze per l’economia nazionale sarebbero state “disastrose”.

Come riportato dal quotidiano La Repubblica, la Royal Bank of Scotland (Rbs) si affermava in un report che l’indipendenza della Scozia avrebbe avuto un impatto negativo sulle politiche di credito della banca e conseguentemente anche sul quadro fiscale, monetario, giuridico e normativo cui esse sono soggette. Dello stesso avviso era anche Lloyds banking, secondo cui in caso di diverso esito del referendum la Scozia avrebbe trattenuto per sé i proventi fiscali derivanti dall’estrazione delle risorse petrolifere presenti nel mare del Nord. Inoltre, la separazione della Scozia dal Regno Unito avrebbe provocato un clima di sfiducia sulla sterlina e sui titoli di stato britannici.

Le conseguenze non avrebbero però interessato solamente l’Inghilterra, ma anche la Scozia, costringendola secondo l’americana Goldman Sachs a “significativi aggiustamenti di bilancio” dovuti al fatto che qui la spesa pro capite è particolarmente elevata rispetto al resto del Regno Unito e, in caso di vittoria del “sì”, si sarebbe assistito con molta probabilità a un significativo ridimensionamento dei servizi pubblici erogati a beneficio della collettività.

Analogamente Credit Suisse scriveva che l’indipendenza avrebbe sottoposto la Scozia a un “elevato rischio di fuga di capitali”, mentre invece per quanto riguarda le riserve petrolifere l’istituto svizzero non escludeva che i proventi fossero rimasti in toto al governo scozzese. In mancanza del reddito da petrolio, la separazione avrebbe inoltre esposto la Scozia ad una maggiore volatilità in termini di crescita economica. Infine, Morgan Stanley e Barclays prospettavano “una crescita dell’incertezza economica nel breve periodo”, con ripercussioni sui mercati finanziari che avrebbero inevitabilmente costretto gli azionisti a cercare investimenti più sicuri.

Fortunatamente si tratta solo di congetture che, almeno per il momento, non hanno più senso di esistere visto l’esito del Referendum scozzese. Tuttavia, la società di servizi finanziari Ubs mette in guardia e afferma che “niente sarà come prima”: l’Inghilterra non può più ignorare che una fetta consistente di elettori scozzesi (1,6 milioni) sogna l’indipendenza e sarà disposta a tutto pur di rivendicare maggiori libertà in termini di autonomia decisionale e operativa. Ora l’attenzione è sulla Spagna, dove il Parlamento di Barcellona ha recentemente approvato il testo di legge che fissa al prossimo 3 di novembre la data del referendum in cui si voterà per l’indipendenza della Catalogna.

Al di là dei patriottismi e di qualsiasi altro interesse di parte, anche il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso ha affermato che il voto dello scorso 18 settembre è stato a favore di “una Europa unita, aperta e più forte”.

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