I girasoli (Film, 1969)
I girasoli (1969) di Vittorio De Sica non gode di buona critica, ma è un melodramma invecchiato molto bene e rivisto oggi merita di essere rivalutato. Tra l’altro Sophia Loren compie ottant’anni proprio in questi giorni e ricordare un suo film considerato minore ci pare il modo migliore per festeggiarla.
Siamo nel 1942, in piena Seconda Guerra Mondiale. Giovanna (Loren) e Antonio (Mastroianni) s’innamorano e decidono di sposarsi, anche perché lui può usufruire di 12 giorni di congedo prima di partire per il fronte. Vanno a vivere al Nord, nella casa di campagna di Antonio, passano giorni a far l’amore e a mangiare enormi frittate, ma quando è il momento di partire lui si finge pazzo. I medici scoprono la truffa spiando un intenso rapporto tra moglie e marito in parlatorio. Antonio parte per la campagna di Russia e non farà più ritorno. Il film è narrato in flashback e in presa diretta, gioca molto sulla bravura dei due protagonisti e su una fotografia eccellente, anche se la sceneggiatura è abbastanza prevedibile. Giovanna non si dà per vinta, quando alla stazione incontra un reduce (Onorato) che ha visto il marito cadere nella neve, si illude che sia ancora vivo. La donna parte per la Russia e scopre che il marito si è costruito una nuova vita con una donna ucraina e ha persino un figlio. Antonio è stato salvato dalla donna, ha perso la memoria ed è rimasto con lei, unica certezza di una vita modificata dalla tragedia della guerra. Giovanna fugge via disperata, non vuol neppure parlare con il marito, che fa in tempo a vederla e pare ricordare il passato. Giovanna torna in Italia, cambia vita, incontra un uomo che le vuol bene, va a vivere con lui e ci fa un figlio. A questo punto torna Antonio per dirle che non l’ha mai dimenticata e che vorrebbe ricominciare. Comprendono entrambi che è impossibile. Non sono più soli. Rovinerebbero la vita di due famiglie e soprattutto dei bambini.
Non condivido la feroce stroncatura di Paolo Mereghetti: “Scombiccherata operazione produttiva voluta da Carlo Ponti in funzione dei protagonisti, qui però smorti ed enfatici. Il tocco dell’ormai stanco De Sica è visibile solo nella scena dell’arrivo dei reduci presi d’assalto dai parenti e in qualche momento intimista. Sceneggiatura spesso semplicistica e musiche strappalacrime…”. Morando Morandini rincara: “Scritto su misura per Sophia Loren, è convenzionale e illustrativo come una cartolina in tricomia. C’è una scena da citare: l’arrivo dei reduci in treno dall’URSS”.
Stiamo parlando di un film che ha vinto un David di Donatello e che ha avuto una nomination all’Oscar. Condivido solo che la scena dell’arrivo dei reduci dalla Russia è una delle sequenze migliori, così come è vero che la sceneggiatura presenta punti deboli. Le musiche sono eccellenti e accompagnano lo spettatore nell’azione drammatica, così come la fotografia e le scenografie sovietiche sono molto interessanti.
I girasoli è uno dei pochi film che racconta con obiettività il dramma della campagna di Russia, mostra i soldati italiani in balia della neve, del gelo, costretti alla ritirata dalla schiacciante superiorità del nemico. I girasoli simboleggiano i soldati morti e seppelliti in fosse comuni: ogni campo sterminato di piante che ondeggiano al vento rappresenta le vittime di una guerra assurda. De Sica mostra tutto il suo mestiere, insieme ai poetici Guerra e Zavattini, quando descrive la solitudine di una donna che attende il ritorno del marito, ma pure quando mostra la determinazione di chi non si rassegna e vuol sapere la verità. Ottimi gli esterni girati in Ucraina, tra paesaggi con girasoli, treni in corsa verso la speranza o di ritorno dalla disillusione, immense pianure e caseggiati popolari.
I protagonisti sono molto bravi, ma non li scopriamo certo noi, così come sono interessanti le interpretazioni di Silvano Tranquilli (un italiano che si vergogna delle sue origini) e di Glauco Onorato (un reduce). Notevoli le sequenze di guerra che mostrano le truppe italiane in mezzo alla neve, assiderate dal freddo e sconfitte da un esercito più preparato. La bandiera rossa sovietica in dissolvenza campeggia sulle sequenze di morte e disperazione. Pure le immagini degli immensi cimiteri di soldati italiani sono suggestive e calate in una scenografia drammatica. Il finale è struggente. Antonio ricorda la sua donna, torna in Italia, vuol vederla ad ogni costo, ma entrambi comprendono che è troppo tardi per ricominciare. Le note di Grazie dei fior si stemperano insieme alla musica di Henry Mancini, mentre le immagini in penombra dei protagonisti si affievoliscono. Il dramma della guerra sovrasta ogni sequenza della pellicola, perché la colpa di ogni tragedia è soltanto di un orrore bellico capace di cambiare gli uomini e di modificare l’esistenza. “Mi ha salvato dalla neve, mi sono trovato in una casa che non conoscevo. Era come se fossi morto e subito dopo ero un altro”, dice Antonio. Il finale alla stazione di Milano vede ancora una volta un treno che porta via Antonio da una Giovanna in lacrime. Da riscoprire.
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Regia: Vittorio De Sica. Produzione ITA/FRA: Carlo Ponti. Soggetto e Sceneggiatura: Tonino Guerra e Cesare Zavattini. Fotografia: Giuseppe Rotunno. Musica: Henry Mancini. Montaggio: Adriana Monelli. Interpreti: Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Ljudmila Saval’eva, Silvano Tranquilli, Glauco Onorato, Anna Carena, Galina Andreeva, Germano Longo.
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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]