Un ragazzo d’oro (Film, 2014)

Pupi Avati non sbaglia un film. Il regista bolognese dal 1968 rappresenta una certezza del nostro cinema, dai tempi di Balsamus, l’uomo di Satana, dei film grotteschi, fantastici e persino horror d’ambientazione padana (La casa dalle finestre che ridono, Zeder, Tutti defunti tranne i morti…), passando per piccole storie di vita quotidiana (Festa di laurea, Regalo di Natale…), indagini psicologiche sui rapporti familiari (La cena per farli conoscere), studi sulla malattia (Una sconfinata giovinezza) e ricordi autobiografici (Gli amici del bar Margherita). “Un autore non catalogabile e per questo veramente unico”, come afferma Roberto Poppi, perché ricco di interessi e capace di spaziare tra i vari generi del cinema italiano. Un ragazzo d’oro è il suo ultimo lavoro, vero e proprio cinema intimista, psicologico, introspettivo, un dramma sentimentale che indaga il rapporto padre – figlio e sviscera il tema della malattia mentale.

Davide Bias (Scamarcio) è un creativo pubblicitario, ma sogna di fare lo scrittore e per questo cerca un agente letterario per pubblicare i suoi racconti. I racconti non sono un genere amato dal pubblico italiano, lui non riesce a sfondare nel campo letterario, soffre di crisi depressive, finisce in cura psicologica e assume farmaci per controllare le reazioni violente. Silvia (Capotondi) è una fidanzata che lo accudisce ma non lo ama e non ha ancora tagliato i ponti con un precedente rapporto. A un certo punto muore il padre, uno sceneggiatore di film di serie B, forse suicida, precipitato in un burrone a bordo della sua auto. Davide si trasferisce a Roma, in casa della madre (Ralli), dove incontra Ludovica (Stone), un’editrice che vorrebbe pubblicare un libro autobiografico di cui il padre parlava ma che in realtà non ha mai scritto. Davide lo scriverà per lui, nonostante il pessimo rapporto che aveva con il genitore; si renderà conto di non aver mai capito quel padre così distante dalla sua vita, leggendo una sceneggiatura giovanile. Davide diventerà un ragazzo d’oro, porterà avanti l’opera paterna, in uno sforzo d’immedesimazione totale con il genitore (anche fisico) che gli farà perdere la salute mentale.

Un ragazzo d’oro è un film straordinario che parla di cinema e cita pellicole del passato come Dove vai se il vizietto non ce l’hai? (1979) di Marino Girolami, quando la madre guarda in televisione un film scritto dal marito e ride alle battute di Montagnani e Vitali. Lo studio del vecchio sceneggiatore mostra appese alle pareti foto di Alvaro Vitali, Gloria Guida, Alberto Sordi…Tutto è ricostruito benissimo per parlare di un mondo che Avati conosce in profondità e che ha frequentato quando scriveva e girava pellicole horror di ambientazione padana. Struggente la sequenza ricca di dissolvenze con Scamarcio che legge una vecchia sceneggiatura paterna e piange, scoprendo un padre che non conosceva, ma ancora più bella la parte in cui si ribella al film costruito malamente su quella storia, che tradisce la poesia della scrittura. Pupi Avati indaga la crisi della famiglia, ricostruisce un rapporto padre – figlio, deteriorato nel corso degli anni, che nei giorni dell’infanzia era stupendo (“Io e te papà, insieme, siamo invincibili!”). Il figlio ritrova il cordone ombelicale perduto, si cala nella mentre del padre, rilegge i suoi appunti, i vecchi testi, scrive quel capolavoro rimasto nei tasti del computer del genitore, un’opera sublime che vincerà il Premio Strega. Il più bel regalo di un figlio alla memoria di un padre scomparso, un dono che gli costerà la perdita della normalità, lo farà rinchiudere in manicomio, lontano dal mondo e dalle sue seduzioni, finalmente tranquillo.

Riccardo Scamarcio è un attore straordinario, forse ce ne accorgiamo troppo tardi, che interpreta un ruolo complesso da scrittore depresso e maniaco, ossessionato da fobie e attacchi di panico. Sharon Stone, invece, servirà a vendere il film sul mercato internazionale, ma pare davvero poco calata nel ruolo ed è ininfluente sulla riuscita di un film che si regge sulla bravura del protagonista maschile. Cristiana Capotondi sfoggia sempre la stessa espressione allibita e stralunata, ma non convince. Giovanna Ralli è una madre intensa e partecipe della malattia del figlio, che cerca a ogni costo di salvarlo dalla caduta negli inferi della depressione. Stupendo l’incipit in bianco e nero, un ralenti che vede padre e figlio, nel ricordo del passato, saltare insieme un ostacolo e vincere la prima difficoltà della vita. Padre e figlio si perderanno nel corso dell’esistenza, per poi ritrovarsi dopo la morte del genitore, nelle opere scritte e riscoperte dal figlio, che svolgerà un ruolo provvidenziale: non far perdere la memoria e il ricordo d’un genitore incompreso. Sublime. Da non perdere. Avati è il nostro miglior regista, il solo capace di parlare al cuore usando la macchina da presa.

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Regia: Pupi Avati. Soggetto: Pupi Avati, Tommaso Avati. Sceneggiatura: Pupi Avati. Fotografia: Blasco Giurato. Montaggio: Luigi Capalbo. Scenografia: Marinella Perrotta. Costumi: Beatrice Giannini. Costumi: Flavia Liberatori. Musica: Raphael Gualazzi. Produzione: Antonio Avati, Flavia Parnasi, Mario Mazzarotto (produttore esecutivo). Assistente alla regia: Armando Chianese. Case di Produzione: Combo Produzioni, Duea Film, Rai Cinema. Distribuzione: 01 Distribution. Durata: 102’. Genere: Drammatico. Interpreti: Riccardo Scamarcio, Sharon Stone, Cristiana Capotondi, Giovanna Ralli, Cristian Stelluti, Osvaldo Ruggieri, Tommaso Ragno, Sandro Dori, Fabio Ferrari, Antonio Caracciolo, Fabrizio Amicucci, Vanni Fois, Michele Sueri, Viola Graziosi, Patrizio Pelizzi.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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Un Commento

  • Grazie all’autore di questo bellissimo articolo. Grazie per aver guardato con il cuore questo film e di aver saputo esprimerne il contenuto in maniera così profonda e veritiera. Un grazie particolare al nostro Maestro Pupi, per permettere a tutti noi di guardare dentro di lui, alla sua famiglia, nei suoi pensieri più reconditi e farci partecipi di sentimenti veri, emozionanti e commoventi. Non nascondo che, sia io che la mia cara amica Giovanna abbiamo pianto fino alle lacrime. Un vero capolavoro, peccato che ci sia così tanta superficialità da non apprezzare questa opera d’arte. Con immensa stima.

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