L’Italia del volontariato
I giovani italiani che dedicano parte del loro tempo libero ad attività gratuite e di volontariato sono sempre di più. E’ facile incontrarli impegnati nelle attività “socialmente utili” più disparate, dall’accompagnamento degli anziani alla pulizia dei parchi e delle spiagge, mentre fioriscono sul web i siti a cui fanno riferimento. Questo crescente interesse per il bene collettivo è stato recentemente confermato a Venezia, alla Conferenza su “Sussidiarietà e volontariato in Europa: valori, esperienze e strumenti a confronto”, organizzata dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, come inaugurazione dell’Anno europeo del volontariato.
Sono 301.191 le istituzioni No profit attive in Italia. Sono cresciute del 28% rispetto al 2001. Ma soprattutto coinvolgono direttamente – con diverse formule e livelli di impegno – una massa impressionante di italiani: contano infatti sull’attività 4,7 milioni di volontari, 681mila dipendenti, 271mila lavoratori esterni e 5mila lavoratori temporanei.
Per quanto riguarda la “distribuzione” dei volontari, che presentano valori superiori alla media nazionale (pari a 801 volontari per 10mila abitanti), ci sono le Province autonome di Bolzano (3.008) e Trento (1.967), in Valle d’Aosta (1.475), Friuli Venezia Giulia (1.328), Umbria (1.210), Toscana (1.178), Marche (1.037) e Liguria (1.000). In termini assoluti, Lombardia, Veneto, Toscana, Emilia Romagna e Piemonte raccolgono il numero più elevato di volontari (superiore alle 400mila unità di personale volontario). La Lombardia e il Veneto si confermano le regioni con la presenza più consistente di istituzioni, con quote rispettivamente pari al 15,3 per cento e al 9,6 per cento, seguono Piemonte (8,6 per cento), Emilia-Romagna (8,3 per cento), Toscana e Lazio (7,9 per cento). Sono gli 1.824 gli istituti scolastici di ogni ordine grado che hanno aderito ai progetti dei centri servizi, 66 gli sportelli “scuola e volontariato” aperti e 740 esperienze di stage (contro le 493 dell’anno prima) attivate.
Negli Stati Uniti, il lavoro gratuito per la collettività è una pratica comune a cui viene data molta importanza. Tra i giovani è diventata una voce da aggiungere alle varie esperienze formative accumulate per presentarsi bene all’ammissione all’università o a un colloquio di lavoro. In Italia, invece, “volontariato” è solitamente un termine che finisce in fondo al curriculum vitae, alla voce “altre attività”. Negli ultimi tempi, però, le cose stanno cambiando. Anche se non retribuita, per molte aziende italiane e multinazionali, l’esperienza del volontariato è valutata positivamente. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi appare intenzionato a valorizzare il contributo del Terzo Settore e ha recentemente annunciato di volerlo riformare, rinforzando il ruolo e la partecipazione dei singoli e dei corpi intermedi nelle politiche sociali.
Il Ministro delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, commentando il nono Censimento Generale dell’Industria e dei Servizi e delle Istituzioni No profit dell’Istat, ha dichiarato: “Occorre costruire attorno all’economia sociale e solidale il futuro del Paese, puntando su imprese cooperative, imprese sociali, cooperative di comunità e ogni altra forma di economia sociale e associativa, che metta al centro la persona e non la finanza, i bisogni dei soci e della comunità e non la remunerazione del capitale”. “Noi vogliamo che nessun cittadino resti a casa senza avere nulla da fare”- ha continuato Poletti – per questo ad ogni italiano deve essere data una ragione per saltar giù dal letto e mettersi in moto ogni mattina”.
Del resto, in un momento di forte crisi come quello attuale, il volontariato si presenta come una rivoluzione dal basso, capace di favorire la trasmissione di valori fondamentali e di offrire un aiuto concreto ai problemi sociali, stimolando la crescita di cittadini migliori.
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