La democrazia accade

La democrazia a un certo punto “accade”; è nella natura delle cose. Prima o dopo tutti i governi totalitari devono fare i conti con lei. Mi viene in mente una delle manifestazioni più gravi della negazione della democrazia del secolo scorso: il muro di Berlino. Per 28 anni, dal 1961 al 1989, il muro di Berlino ha tagliato in due non solo una città, ma un intero paese. Fu il simbolo delle divisione del mondo in una sfera americana e una sovietica, fu il simbolo più crudele della Guerra Fredda. Poi la democrazia avvenne; all’epoca si palesò attraverso la grande lungimiranza di un uomo, Gorbaciov leader dell’Unione Sovietica, che scatenò i fattori che portarono alla caduta del muro e alla riunificazione delle due Germanie.

Con la “Perestroika”, cioè la radicale trasformazione della politica e della economia e con la “Glasnost”, che doveva portare alla trasparenza politica, Gorbaciov cominciò a far cambiare strada all’Unione Sovietica. Decisiva fu la sua decisione di lasciare libertà agli altri paesi del Patto di Varsavia promettendo di non intromettersi più nei loro affari interni. Un po’ alla volta, faticosamente, chi più facilmente e chi invece, come l’Albania, in modo lento e doloroso, in tutti gli Stati satelliti accadde la democrazia.

Ci provarono anche in altre latitudini; penso alla primavera araba che ebbe inizio in Tunisia il 17 dicembre 2010. Quel giorno a Tunisi l’ambulante Mohamed Bouazizi si dette fuoco per protestare contro il sequestro da parte della polizia della sua merce. Quel gesto innescò una serie di rivolte popolari e giovanili, che partendo dalla richiesta dei tunisini delle dimissioni del rais Ben Ali, si estesero a Egitto, Libia, Bahrein, Yemen, Marocco, Algeria, Giordania e Siria. E lì per la prima volta ci si rese conto della vera potenza dei social network, strumento essenziale per la diffusione delle proteste. Alla base di tutto ci fu la grande  delusione dei giovani, cristiani e musulmani insieme, per la mancanza di lavoro, per la libertà limitata o inesistente. C’era desiderio di cambiamento, giustizia e libertà.

Anche i quei luoghi la democrazia tentò di accadere, trovandosi però davanti un muro di ignoranza e violenza. Come in Siria, dove ormai il desiderio di pace e giustizia è stato sorpassato dalla crudeltà delle azioni di governo e ribelli. Proprio recentemente l’arcivescovo di Damasco mons. Samir Nassar ha dichiarato: «Si vive un’apocalisse a Damasco, e si spera con tutto il cuore, la mente e le forze, che venga presto la resurrezione». E la resurrezione dovrà arrivare e sarà democrazia.

Ora è il turno di Hong Kong, dove centinaia e centinaia di giovani armati solo di ombrelli, sono scesi per le strade a reclamare la democrazia, mentre su di loro incombe la minaccia di un intervento della polizia. Il capo del governo locale, del quale i contestatori hanno chiesto la testa, ha lanciato sabato un ultimatum: le strade devono essere sgombrate entro lunedì. Ma le autorità dovranno per forza concedere qualcosa, perché la democrazia è come un virus benefico. Non si cura. Dove arriva è pandemia.

In Italia poche le manifestazioni a sostegno di queste proteste dei giovani cinesi; anzi, quasi assenti. Solo a Matera, in occasione della Convention dei Popolari per l’Italia, il presidente Mario Mauro ha manifestato aprendo con i congressisti decine di ombrelli colorati davanti a una scritta “Freedom for Hong Kong”.

Ora aspettiamo che accada.

Condividi
precedente

Convention PpI: riportare l’attenzione del Governo alla realtà

successivo

Hong Kong vs Pechino: un Paese, due sistemi

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *