Qualche speranza per l’Ucraina?
L’attualità, interna e internazionale, è fatta così: titoloni per qualche tempo, poi è come se fosse caduto il sipario. Ricordate quando sembrava che fossimo all’orlo della Terza Guerra Mondiale per le vicende ucraine? Chi ha avuto la pazienza di leggermi, sa che non ho mai condiviso il catastrofismo delle previsioni, e questo per una ragione precisa: certo, la spinta neo-imperialista di Putin va fermata e vanno protetti i membri orientali dell’Alleanza Atlantica; ma né l’Occidente né la Russia possono volere seriamente una guerra in Europa, né il pieno ritorno alla guerra fredda, che danneggerebbe ora, molto più che nel passato, ambedue le parti, i cui interessi economici si sono, dopo la caduta del Muro, fortemente intrecciati e sono ora in una situazione di mutua dipendenza. Tutti sanno che senza il gas russo dovremmo andarlo a trovare con fatica altrove (gli Stati Uniti sono disposti a fornirlo, ma ci vogliono tempo e investimenti non indifferenti per portarlo dall’America all’Europa). Ma sappiamo anche che, se non vendesse il proprio gas agli europei, la Russia avrebbe importanti perdite finanziarie e la sua economia se ne risentirebbe in modo grave.
Quindi, ci piaccia o no, tra Occidente – e soprattutto tra Europa – e Russia occorre cercare di andare d’accordo, o almeno di contenere il contenzioso in doti non letali. L’annuncio del ritiro delle truppe sovietiche dalla frontiera ucraina, e la possibilità di un nuovo incontro tra Putin e il nuovo presidente ucraino, Poroshenko, a Milano come l’invito a Putin per il summit dei G-20 a Brisbane, sono segnali nella giusta direzione, che fanno seguito a un gesto positivo delle Autorità ucraine: il Parlamento di Kiev aveva votato quasi all’unanimità la concessione di una larga autonomia alla Regione russofona per la durata di tre anni e la pratica amnistia ai ribelli.
Questi segni positivi non vogliono dire, ovviamente, che i problemi siano risolti. Permangono la dura volontà di separazione dei russofoni e la difficoltà per l’Ucraina di accettarla. E permane al fondo l’obbligo politico della Russia di non abbandonare i russofoni. Ma poiché senza l’aiuto di Mosca questi ultimi non potrebbero reggere a lungo, la maggiore o minore prudenza e autocontrollo di Putin ha un’importanza decisiva. A ben guardare, lo zar moscovita non ha ragione di spingere le cose al limite rischiando una crisi gravissima con l’Occidente: ha ormai incassato la Crimea, in modo irreversibile, e sa che la concessione di forme avanzate di autonomie alle regioni russofone non può che creare le condizioni, presto o tardi, per una loro separazione dal corpo ucraino, senza per questo mettere in gioco la pace europea e mondiale. Sullo sfondo, resta l’impellente necessità che Stati Uniti, Europa e Russia facciano fronte insieme al pericolo che viene dalla jihad.
Una lezione però insegnano queste vicende: che la condotta russa è direttamente condizionata da quella occidentale. Stati Uniti, NATO ed Unione Europea hanno fin qui mostrato nell’insieme un buon misto di fermezza e di cautela, coniugando la difesa di principi irrinunciabili alla necessità di non provocare una guerra catastrofica. È da sperare che continuino a farlo, senza accelerazioni nocive in un senso o nell’altro.
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