TFR in busta paga: a chi conviene?
La Legge di Stabilità ha introdotto la possibilità per i dipendenti di aziende private di richiedere su base volontaria l’anticipazione del Trattamento di Fine Servizio (anche noto con la sigla TFR) in busta paga. Di fronte a questa misura la maggior parte dei contribuenti italiani si dice contrario. Prima però di addentrarci nell’analisi delle diverse posizioni in campo, va precisato che la liquidazione immediata del TFR non può essere richiesta da alcune categorie di lavoratori, tra cui i neo assunti (è richiesto un periodo di almeno 6 mesi), le partite IVA, gli operatori del settore agricolo e domestico (colf, baby-sitter, ecc.) e quelli alle dipendenze di imprese sottoposte a procedure concorsuali o dichiarate in stato di crisi.
Come spiegato dallo stesso premier Matteo Renzi, il provvedimento è stato pensato per rilanciare i consumi nazionali garantendo un’entrata mensile più consistente. Tuttavia, nonostante le buone intenzioni del Governo, un recente sondaggio condotto da IPSOS per il Corriere della Sera ha messo in evidenza che due intervistati su tre non sono favorevoli alla liquidazione versata in busta paga. Tradotto in numeri percentuali, il 69% dei rispondenti ritiene più economicamente conveniente che il TFR venga corrisposto al termine del rapporto lavorativo, mentre il restante 26% (e il 21% dei dipendenti pubblici) approva la novità.
Questi dati riflettono una sostanziale situazione d’incertezza, che obbliga gli italiani ad avere un atteggiamento cauto e prudenziale verso il futuro, anche a costo di rinunciare a un piccolo aumento della retribuzione mensile. Ricevere il TFR in un’unica tranche significa avere a disposizione una sorta di tesoretto cui attingere quando si va in pensione o nella peggior delle ipotesi quando si perde il lavoro, che purtroppo di questi tempi non è ipotesi poi così remota.
A dare ragione agli italiani ci pensa anche una simulazione elaborata dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, secondo cui l’anticipazione del TFR sarebbe un’opzione vantaggiosa solamente per i contribuenti che percepiscono un reddito lordo annuo inferiore ai 15mila euro. Se versato in busta paga, il TFR è infatti soggetto ad un’aliquota variabile fra il 23 al 43% a seconda del reddito del lavoratore. Ne deriva che per tutti coloro percepenti uno stipendio annuo superiore a 15mila euro, la tassazione sarà massima. In particolare, la perdita è stata quantificata in 50 euro all’anno per chi ha un reddito compreso tra i 20 e i 28mila euro, fino a un massimo di 569 euro per chi percepisce un compenso lordo di 100mila euro o più. Un altro aspetto da non sottovalutare è che il TFR in busta paga comporta un aumento del reddito Isee con conseguente diminuzione delle possibili detrazioni d’imposta (ad eccezione del bonus di 80 euro, per cui non vale questo discorso).
Sulla questione è intervenuto anche Tito Boeri, illustrando le dieci ragioni per opporsi al TFR in busta paga. Secondo l’economista bocconiano, il provvedimento dissuade i lavoratori dall’investire nelle formule di previdenza integrativa, esponendoli a un maggior rischio licenziamento, mentre lato domanda crea problemi di liquidità, soprattutto per le piccole e medie imprese.
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