Siria, la prudenza di Obama e il Vertice G20
In una nota precedente, ho scritto che un attacco alla Siria senza autorizzazione dell’ONU sarebbe un grosso errore, violerebbe una legalità internazionale che dovremmo cercare di preservare, non risolverebbe nulla, ma comporterebbe inevitabili rischi per i civili e aggraverebbe con molta probabilità la situazione, allargando il conflitto a Israele e all’Iran, in un momento in cui quest’ultimo Paese esce da elezioni che hanno portato al potere un Presidente relativamente “moderato”. Malgrado il rinvio di Obama, questa possibilità però non è affatto scongiurata. E tuttavia, alle voci autorevoli che si erano levate in Occidente si è ora aggiunta quella di un Papa la cui immensa popolarità rende i suoi appelli difficilmente ignorabili. Ed è ammirevole che i nostri Ministri responsabili per Esteri e Difesa vi abbiano subito aderito.
Cosa farà Obama? Fin dall’inizio della crisi siriana ha mostrato tutta la sua riluttanza a lasciarsi trascinare in un nuovo conflitto nel Medio Oriente, contro le sue promesse elettorali e la sua stessa immagine di Premio Nobel per la Pace. Lui, più di ogni altro, sa quanto sia complessa la situazione siriana, quanto poco chiari ne siano i risvolti e quanto sia pericoloso mettere il dito in quell’ingranaggio. Ha commesso, senza dubbio, l’errore di indicare a un certo punto una “linea rossa” oltre la quale gli Stati Uniti avrebbero dovuto reagire. A quel momento si è trattato probabilmente di un artificio tattico per apparire, sì, prudente, ma anche fermo. Ma, o il regime siriano ha volutamente ignorato l’avvertimento, convinto che fossero parole vuote, o (come sostengono i russi) un fazione ribelle ha voluto deliberatamente provocare l’intervento occidentale contro Assad, anche a costo di migliaia di vittime innocenti (non sarebbero certo gli assassini di Al-Qaeda a farsene scrupolo).
Ed ora il Presidente USA è di fronte a una decisione difficile, preso com’è tra il suo stesso “gut feeling” e la necessità di salvare la propria credibilità (in altre parole, di non fare una brutta figura). Dovremmo comprenderlo, non fare facile ironia. Ho letto con qualche sconcerto le parole del mio amico Sergio Romano, che lo definisce “il più tentennante dei Presidenti americani”. Preferiremmo che al suo posto ci fosse George W.Bush con le sue ferree certezze? Per ora ha preso una decisione: rimettersi alla decisione del Congresso (pare che sia stato fortemente consigliato a farlo dal suo Capo di Gabinetto, l’influente McDonnough, in una lunga camminata per il Rose Garden della Casa Bianca). Non definiamola, per favore,una scelta pilatesca, ma una decisione corretta: il Presidente non può lanciare il Paese in una nuova operazione militare, discutibile e non gradita alla gente, senza la piena copertura del Congresso. E se Obama sacrificasse il suo personale problema di credibilità all’interesse superiore, mostrerebbe di essere, non un “Re Tentenna”, ma un Presidente che merita il Nobel che gli è stato attribuito.
Comprendere Obama, dunque, e se possibile non lasciarlo solo. È imminente il vertice dei G20 a Pietroburgo, sotto presidenza russa. Il Premier Letta, molto opportunamente, ha espresso la speranza che Putin e gli altri tengano conto del gesto fatto dal Presidente USA. Cosa significa? Significa ammettere che, al di là dell’uso delle armi chimiche, è da due anni in atto in Siria una guerra civile, con una durissima repressione a cui fa da riscontro l’aperto terrorismo di una parte dei ribelli. È venuto il momento, quanto meno, per cercare di limitare le tragiche conseguenze umane di questo conflitto e incanalarlo, ove possibile, verso un qualche tipo di via di uscita negoziale. Opera, questa, quasi impossibile senza il contributo dei russi, oggi principale sostegno di Assad. Sarebbe ora che l’ex ufficiale del KGB, Putin, educato alla scuola del cinismo e incapace di comprendere gli scrupoli morali degli occidentali, capisse che c’è una decenza internazionale da rispettare e che anche il cinismo ha i suoi limiti. Magari a Mosca può far comodo vedere gli Stati Uniti e il Presidente USA in difficoltà, ma qui in gioco c’è molto di più che la credibilità di una persona (dopotutto effimera), ma la pace e la sicurezza internazionali e un minimo di convivenza civile nell’area più conflittiva del mondo attuale.
Una nota a proposito della Francia e un’altra a proposito della NATO.
Non capisco l’ardore guerresco di François Hollande. Non è la Francia che, in altre occasioni difese a spada tratta l’autorità del Consiglio di Sicurezza dell’ONU? Non è la Francia che si oppose ad interventi militari unilaterali? Non è la Francia che, in modo persino fastidioso, metteva pali nelle ruote ad ogni iniziativa americana? Cosa cerca Hollande? Una risalita dei consensi interni in grave calo? Se così fosse, credo che si sbaglierebbe di grosso.
La NATO. Nella mia nota precedente scrissi che la sua posizione doveva essere definita, non dal Segretario Generale Rasmussen (come è apparso ad una stampa superficiale) ma dal Consiglio Atlantico all’unanimità. Il nostro eccellente Ambasciatore presso la NATO, Gabriele Checchia, mi scrive confermando cortesemente che così è, facendomi rimarcare che, in successive dichiarazioni, Rasmussen si è espresso in modo piuttosto cauto. Meglio così: di tutto abbiamo bisogno fuorché di un’Alleanza che si precipiti ad occhi chiusi in avventure a cui resistono vari, e non dei minori, suoi membri.
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