Dinosauri
I lettori sanno che questo giornale è tutt’altro che supino nei confronti di Matteo Renzi e non manca di criticarne gli sbagli, le omissioni e i metodi. Per quanto mi riguarda personalmente, per un’esperienza ormai maturata in tanti anni di vita e di servizio pubblico (chiamiamolo cinismo? Forse, ma preferisco parlare di laico dubbio) sospendo il mio giudizio in attesa dei risultati, ovviamente sperando in cuor mio – da italiano – che siano buoni, anzi ottimi. Un merito però è difficile non riconoscergli: quello di star cercando di svecchiare una sinistra anchilosata e polverosa, rimasta in sostanza ai vecchi schemi di un passato che la caduta del Muro di Berlino e la fine ingloriosa del socialismo reale avrebbero dovuto completamente seppellire. Una sinistra arcaica e paurosa del nuovo, che si aggrappa a usi e linguaggio che sanno irrimediabilmente di stantio, ferma ad un massimalismo che ha prodotto sempre e solo guai, e che ha impedito alla sinistra o di vincere o di governare quando è riuscita a vincere, portandola sistematicamente al collasso.
Uno può chiedermi: ma a te, che di sinistra non sei, che interessa quello che succede nel PD e paraggi? Interessa sì, come italiano prima che popolare, o liberale, o cattolico. Interessa perché nel mondo attuale, con le difficoltà che pongono un’economia globalizzata e problemi di sicurezza non più risolubili con gli schemi della Guerra Fredda, un paese moderno e avanzato, che non voglia rifugiarsi nelle eterne illusioni del populismo autarchico e faccendiere, ha assoluto bisogno di un centro-sinistra moderno, che abbia compreso il mondo in cui viviamo e cerchi le ricette migliori per affrontarlo. Una sinistra che abbandoni lo statalismo perverso e punti decisamente sull’innovazione e sul merito. Che non svenda la sicurezza e l’identità nazionale in nome di fumose ideologie umanitarie e terzomondiste. Che non tradisca le nostre radici liberali e cristiane per aprire le porte a tutto e a tutti, anche ai nostri potenziali nemici. Una sinistra così è necessaria in un sistema democratico in cui deve predominare l’alternanza (che la nuova legge elettorale, se alla fine verrà approvata, consoliderà grazie al ballottaggio) e in cui i due poli dello schieramento politico devono poter essere in grado di governare, ciascuno, s’intende, con le particolarità che lo caratterizzano, ma senza provocare ogni volta terremoti o scossoni, senza ogni volta riportare indietro il calendario. Questa sinistra esiste altrove: negli Stati Uniti è rappresentata dal Partito Democratico, in Inghilterra dai Laburisti dopo la grande svolta blairiana, in Germania dai Socialdemocratici, capaci di collaborare con il centro-destra quando è necessario, e persino in Spagna e in Francia, malgrado le fughe in avanti di Zapatero in materia di etica e il velleitarismo di Hollande. Ed esiste da decenni nei paesi scandinavi, in Olanda, in Belgio.
Da noi, il problema è che la sinistra, altrove di tradizione e pensiero socialisti e democratici, è stata per tutta la Prima Repubblica quasi monopolizzata dal Partito Comunista e pendente dalle sue vicende e solo dopo la fine del socialismo reale ha iniziato a ripensarsi (per necessità, credo, non per vera scelta intellettuale). Ma la lunga, faticosa revisione iniziata alla Bolognina – quando uno ascolta i Vendola, i Civati, i Fassina, le Camusso, a tratti anche i Bersani e i D’Alema – non sembra conclusa mai. Ancora li vediamo arroccati sulla difesa fanatica di un art.18 che è superato quanto il telefono a manovella. Ancora li vediamo affidarsi alle manifestazioni di piazza, consolanti per chi vi partecipa per il clima di una gran kermesse solidaria, ma del tutto inutili, o addirittura agli scioperi generali, che oltre che inutili sono dannosi per il Paese e la sua economia. Ancora li vediamo condurre una guerriglia di retroguardia contro il leader del loro partito e del Governo del Paese. Ma come? Non ha stravinto le elezioni interne? Non ha portato il PD a una vittoria senza precedenti nelle elezioni europee di maggio? Non continua a vincere, come si è visto a Reggio Calabria (dove, tra parentesi i grillini hanno fatto un tonfo pietoso, con il 2,5% dei voti)? In una democrazia, dissentire dalla linea del proprio partito è ovviamente legittimo, ma alla fine ci si conta e la maggioranza decide. I vari Fassina e Civati che dicono: ”se si tocca l’art.18 non voto la fiducia”, hanno tutto il diritto di dirlo e di farlo, ma poi devono trarne l’unica conseguenza decente: uscire dal partito (immagino che Vendola sia pronto ad accoglierli a braccia aperte).
Fin qui, si tratta però di gente nata, cresciuta e mentalmente ancora immersa nel “pensiero unico” comunista, ed è ovvio che a loro uno che non viene da quelle fila, come Matteo Renzi, pare un traditore. Ma la Bindi? La Bindi che viene da una tradizione completamente diversa, anzi opposta, cioè dalla militanza cattolica più ancora che democristiana, che ci fa in questa truppa di dinosauri? Uso questa definizione a proposito. Quando ho visto lo scontro in TV tra lei e la Serracchiani, quando l’ho sentita definire “imbarazzante” la Leopolda, ove Renzi riunisce i suoi fedeli, l’imbarazzo in verità l’ho sentito io per lei, dinosauro che non rappresenta altro che gli stanchi riti del passato. Un dinosauro al cui attivo non c’è un solo atto di buona politica, non un solo gesto utile al Paese.
Chi prevarrà, alla fine, i dinosauri o gli innovatori? Non è una domanda da poco, perché da quanto avverrà nei prossimi mesi a sinistra (e, a specchio, nel centro-destra, dove Berlusconi sembra aver capito le esigenze del momento, ma deve affrontare anche lui una nutrita schiera di dinosauri) dipende la possibilità di un futuro normale per il nostro Paese. Il “nostro” Paese, non quello dei Civati, Fassina, Camusso e neppure di Rosi Bindi. Il Paese dei nostri figli e, con l’aiuto di Dio, dei nostri nipoti.
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